8.0
- Band: LIVGONE
- Durata: 00:41:50
- Disponibile dal: 22/03/2024
- Etichetta:
- Svart Records
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In questo pazzo mondo che si inabissa sommerso dalla propria voracità, dal futile, dal vacuo, dall’inutile imbrillantinato masticato e ributtato nella spazzatura a velocità allucinanti, non sfugge a questo avvilente processo nemmeno la musica.
Così, ai piani alti del dorato ed effimero mainstream, non è raro incocciare in immonda spazzatura spacciata per genio, in nome di numeri, quelli degli streaming, delle visualizzazioni, del cosiddetto engaging, che paiono contare più del valore artistico. Quello invece non si riesce a misurare compitamente con fredde cifre. Meno male, perché almeno nei sotterranei del mondo musicale, per fortuna non così nascosti e misteriosi come si vorrebbe far credere, ci sono ancora tante persone che lavorano con cura, affetto, genuina passione, per le sette note. E nel campo del metal e affini sappiamo bene che, nella marea vorticosa – a volte così eccessiva da apparire nauseante – di uscite settimanali, le vere perle, o almeno curiosi oggetti meritevoli di attenzione e ascolto, ci sono ancora.
Quello che potrebbe apparire come un vago incipit ci pare invece calzante per introdurre gli esordienti Livgone, ennesimo coniglio dal cilindro pescato da una delle case discografiche indipendenti più abili a scovare talenti non allineati, musicisti che hanno una propria storia da raccontare ed esibire con cognizione di causa. Stiamo parlando della Svart Records finlandese, mentre i Livgone vengono da Tolosa e orbitano in tutto ciò che si connota di oscurità in forma enigmatica, a volte graziosa, a volte intimista, oppure sordidamente rumorosa, ipnotica, inglobata nell’incubo.
Una materia, questa, a maggior ragione se culminante in una voce femminile come in questo caso, che alla Svart conoscono bene e, come nel recente caso dei Messa o in quello di qualche anno addietro dei Jess And The Ancient Ones, anche il qui presente “Almost There” rischia di diventare un piccolo – speriamo grande, perché no – ‘caso’ underground.
Da dove cominciare, per illustrare un sì tanto dettagliato suono? Ecco, l’eterogeneità è una delle chiavi di comprensione del macromondo pensato dai Livgone.
Nella presentazione due nomi che vengono fatti per delineare la personalità del gruppo sono proprio quello della formazione originaria di Cittadella e i dioscuri del post-rock sperimentale Godspeed You! Black Emperor. Due paragoni arditi, ma che ci possono stare. Perché se indubbiamente il terzetto qui all’esordio sta volentieri dentro una cornice di suoni crepuscolari che partono dal dark e gothic rock e sfociano nel doom più sperimentale e onnicomprensivo, è altrettanto vero che gli sfilacciamenti, l’incorporeità, il senso per gli spazi larghi e indistinti del post-rock e dell’ambient sono altrettanto udibili e congeniali ai musicisti nordici.
Non è tanto per la voce femminile in sé – quella altera, multiforme e incantatrice di Elise Aranguren – ma per il tono di alcune canzoni, che paiono abbastanza vicini per indole e risultato finale ad altre due ottime entità capeggiate da frontwoman, vale a dire i tedeschi (Dolch) e gli olandesi Gggolddd. Dei primi assaporiamo lo spirito maligno che aleggia nei passaggi più grevi, dei secondi le esplosioni tra blackgaze e post-punk, che avevano fatto la fortuna di dischi come “No Image” e “Optimist”.
Non è tutto qua, anche se sarebbe già molto. La tracklist mostra qualcosa di inconsueto e inaspettato praticamente in ogni dove, offrendoci qualche aggancio con sonorità più facili e scorrevoli in porzioni del singolo “Watching Them Feel”, per proiettarci più spesso in reami plumbei, labirintici e in bilico tra carezze e angosce. Un’ambivalenza che non si offre, come in molti altri casi, nei contrasti, quanto in una felice riproposizione di entrambi gli approcci tutti assieme, avvinghiati a farci percepire qualcosa di famigliare ma in qualche modo differente.
“Hypoesthesia” si divide tra martellamenti e incanto, ricordando l’operato di A.A. Williams nella prima parte, prima di allagarsi in brume ambient/rumoriste fino alla sua conclusione; mentre “Dance So I Can” è subdolamente dolce nella voce, salvo travolgerci al rallentatore con chitarre e soundscape che guardano al post-metal più impetuoso. Vorrebbe fuggire via nell’onirico, seppure l’inquietudine mai l’abbandoni. “J’y suis presque”, invece, ci investe di buio e angoscia, cantata nella lingua madre francese, con mantrica freddezza: appare come un rituale di streghe, eppure accostarla a una semplice soluzione occult rock/metal sarebbe riduttivo. Non c’è spazio per il facile cliché, il passaggio alla moda, la strizzata d’occhio a una frivola orecchiabilità. “Almost There” ha qualche lieve ritrosia a svelarsi, ma passa in fretta, perché quando lo si comprende appieno, nelle sue fascinose stratificazioni di suono e negli eclettici arrangiamenti, non lascia scampo.
Non urlano, non aggrediscono, non hanno un concept ultradettagliato da offrirci in pasto per creare stupore e meraviglia: i Livgone hanno semplicemente espresso il loro sentire nella maniera che meglio gli sembrava opportuna e hanno tirato fuori qualcosa che sarebbe triste lasciar passare inosservato. Bravi.