LIVING COLOUR – Shade

Pubblicato il 30/09/2017 da
voto
8.0
  • Band: LIVING COLOUR
  • Durata: 00:48:31
  • Disponibile dal: 08/09/2017
  • Etichetta:
  • Megaforce Records

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Quasi non credevamo più che i Living Colour realizzassero nuova musica. Non parliamo poi dell’irritazione venutasi a creare tra i fan europei di recente, quando la band ha cancellato i tour programmati, quello di supporto a Glenn Hughes nel 2016 e da headliner nel 2017, frustrando le aspettative di chi attendeva da tempo una loro riapparizione sul palco. Meno male che è arrivato “Shade”, sesto album in studio, giunto a ben otto anni dal precedente “The Chair In The Doorway”, a rimarcare l’unicità di una proposta che rappresenta l’unica vera alternativa ‘nera’ in un mondo, quello dell’hard rock e dell’heavy metal, che tra gli afroamericani non ha mai attecchito. Eccezione erano negli anni ’80, eccezione rimangono oggi i quattro newyorkesi, portatori di una forte carica polemica nei confronti di chi vede il rock come una ‘cosa da bianchi’ (emblematica in questo senso la famigerata “Elvis Is Dead”). Concetto esplicitato fondendo mirabilmente funky, jazz, reggae, gospel e blues in formulazioni hard rock devastanti e cariche di feeling. Ed è proprio dall’omaggio alla tradizione blues, al suo invasivo raggio d’azione in tutte le sonorità dure moderne, che si sprigiona il dinamitardo cocktail di sapori di “Shade”. Alla consolle è stato chiamato lo stesso produttore di “The Chair In The Doorway” e “Stain”, Andre Betts, il suono si avvicina soprattutto al capolavoro datato 1993: metallico, compresso, pastoso, l’ideale per il fermento che anima la formazione. Tredici tracce che sanno di protesta e affermazione di un’identità e visione del mondo che non accennano a placare la loro dirompente vitalità. E si propongono di tessere legami strettissimi con artisti fondamentali per tutta la cultura afroamericana. Il primo a essere citato, nella prima di tre cover, è un maestro del cosiddetto delta blues, Robert Johnson, vissuto tra il 1911 e il 1938, misconosciuto in vita e rivalutato dai posteri; la sua “Preachin’ Blues” non perde quel placido dipanarsi tipico delle composizioni scritte sulle sponde del Mississippi, anche se la mano di Vernon Reid e compagni è chiaramente percepibile. Straordinaria la rivisitazione di “Who Shot Ya?” di The Notorious B.I.G.; la carica eversiva del gangsta rap fa sibilare l’aria di pallottole e arroganza, ce lo vediamo il mastodontico Notorious assentire compiaciuto mentre ascolta questo riuscitissimo omaggio. Ottimo è pure il rimodellamento di “Inner City Blues” di Marvin Gaye, che vede il gruppo intensificare la potenza elettrica, salvo mettere pace e illusionismo negli incroci di cori tipicamente gospel. Il virtuosismo hendrixiano di Reid funge da architrave dell’intera tracklist, che entra nel vivo con i duelli scratch-voce di “Come On”, dove interviene prepotente un’elettronica aggressiva, di rottura, già usata in modi leggermente differenti proprio in “Stain”. Si avanza tutti storti e sincopati, piegandosi ai movimenti da salamandra di una sezione ritmica mordace, incisiva senza invadere lo spazio di manovra del grasso, variopinto chitarrismo. Durante “Program” un giro di basso irresistibile sospinge le urla di Glover, divenuto invecchiando un interprete ancora più profondo, caratterizzante, che dà spettacolo anche nell’intermezzo di rap bastardo, confluente negli accenni corali posti nel finale. L’intimismo convive con la polemica in “Always Wrong”, mutevole esemplificazione dell’istrionismo, di questi tempi un po’ più torbido del solito, di cui i Living Colour sono portatori sani dagli esordi. A volte c’è bisogno di srotolare un rapido scioglilingua per colpire nel segno (“Pattern In Time”), altrove basta un giro di basso sospeso nel silenzio e una voce da crooner, come nei primi passi di “Blak Out”: non una nota fuori posto. Dal sapore antico è “Who’s That”, trasposizione hard’n’heavy del tramontato mondo delle big band jazz, tromba e organo dialogano con la chitarra come se non avessero fatto altro per tutta la vita. Il clima tende all’asfittico anche quando emergono barlumi rock’n’roll, come nella fulminea “Glass Teeth”, non sono da trascurare nemmeno gli wah wah tirati all’infinito della sorniona “Invisible”, traccia in apparenza fuori contesto, eppure altamente infiammabile come le precedenti. Nel segno del soul, con la crepuscolare ballata “Two Sides”, i Living Colour infiocchettano un ritorno discografico che non ha nulla da invidiare al loro glorioso passato. Bentornati! E – se ci possiamo permettere – basta ‘pacchi’ rifilati ai sostenitori del Vecchio Continente.

TRACKLIST

  1. Freedom of Expression (F.O.X.)
  2. Preachin' Blues
  3. Come On
  4. Program
  5. Who Shot Ya?
  6. Always Wrong
  7. Blak Out
  8. Pattern in Time
  9. Who's That
  10. Glass Teeth
  11. Invisible
  12. Inner City Blues
  13. Two Sides
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