9.0
- Band: LIZZY BORDEN
- Durata: 00:43:26
- Disponibile dal: 02/09/1986
- Etichetta:
- Enigma Records
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Lizzie Borden era una signorina dell’America rurale dell’’800 che, stando alle cronache dell’epoca, venne accusata di aver ammazzato a colpi d’ascia madre e patrigno. Tra lo sgomento e l’orrore generalizzati, il processo a suo carico portò infine a un’assoluzione per assenza di prove. Ma, si sa, la mitologia e l’impressionabilità del pubblico sono più forti di qualsiasi tribunale, così la figura di questa fanciulla, immaginata con l’ascia insanguinata intenta ad uccidere i suoi parenti, è entrata nell’immaginario popolare. E, almeno per orecchie e occhi usi all’heavy metal, la sua figura e le sue gesta sono rimaste inconfondibili e ben rappresentate da un gruppo, anch’esso americano, che proprio da quella donzella prende il nome.
I Lizzy Borden nascono nei primi anni ’80 per volere dei due fratelli Joey Scott Harges (batterista) e Gregory Charles Harges (cantante): il secondo, prende il nome d’arte omonimo a quello del gruppo, e sarà per sempre noto come Lizzy Borden. Siamo nella scintillante e vanesia Los Angeles dei mitizzati Eighties, ed è perfettamente in quella corrente di spettacolo sopra le righe, eccessi, potenza e melodia laccata che va ad inserirsi la band. Aggiungendo al contesto elementi di teatralizzazione spinta e grand guignol mutuati direttamente dal maestro del genere Alice Cooper. Durante gli show di Lizzy Borden, allora come adesso, spunti orrorifici non mancano, la voglia di divertimento col gusto per il macabro è sempre stata importante, senza andare a coprire o annacquare la spinta degli strumenti.
Il gruppo, agli inizi come in anni recenti, ha saputo collocarsi in una via di mezzo che ne ha reso ben presto distintivo l’operato: abbastanza carico, profondo e tecnicamente capace per ricadere nel filone del power metal americano; melodicamente dotato, ammiccante, commerciale e festaiolo per poter flirtare col movimento hair metal, distinguendosi da esso per una pesantezza e una spinta che normalmente realtà di quella scena non possedevano.
L’esordio è già di quelli da tramandare ai posteri: “Love You To Pieces” mette in fila anthem metallici uno più bello dell’altro, tra indole disimpegnata, americanismo popolano, frivolo disimpegno e melodie coinvolgenti. Pezzi come “Red Rum” e “American Metal” sono ancora oggi tra i favoriti dei fan e immancabili nelle setlist dei concerti. Solo di un anno più tardi è il qui presente “Menace To Society”, meno celebrato eppure allo stesso livello del predecessore, da amare anche solo per la copertina iper-kitsch, con i cinque musicisti, nei vistosi vestiti di scena di moda ai tempi, issati su un carrarmato. Scelte estetiche che più ottantiane non si potrebbe, preludio a un album travolgente dalla prima all’ultima nota, dall’effetto assimilabile a quello dei primi W.A.S.P..
“Generation Aliens” è l’opener tagliente, sfrenata e tambureggiante che permetteva di innamorarsi di una band al primo ascolto, portando poi in un attimo ad affezionarsi e a drogarsi di ascolti dell’intero disco. L’arpeggio iniziale con la batteria in crescendo fa da preludio a una scorribanda incendiaria, un pezzo veloce, impulsivo, senza controllo e senza freni. A svettare è la voce iperacuta e indiavolata di Lizzy Borden, che soprattutto nei primi due album non si fa problemi a raggiungere tonalità esagerate, mentre la coppia di chitarre si esibisce in solismi veloci e impulsivi, contornate da una sezione ritmica fantasiosa e per nulla basilare. Le trame del basso sono spesso in grande evidenza, anche se sono ovviamente le chitarre a fare da traino, divise tra un riffing ficcante e mai troppo arcigno e concessioni ad andamenti più rolleggianti.
Giocando tra atmosfere da b-movie, energia giovanile, voglia di casino e talento nello scrivere inni immediati ma solidissimi, i Lizzy Borden mettono in fila bordate heavy metal appiccicose come pop song, ma mille volte più deflagranti. “Notorious” e “Terror On The Town” sono ossessive e rintronanti, da quanto i vocalizzi sono spinti all’acuto e i ritornelli ripetuti con insistenza; e va bene così, non c’è un secondo di troppo in entrambe. Andando avanti nel disco escono anche altre sfumature, con le striature da ballata oscura dell’altrettanto splendida “Bloody Mary”, la ruffiana carica speed metal di “Stiletto (The Voice Of Command)”, il romanticismo macabro di “Love Kills” (un tripudio di sangue e lustrini).
Nel proseguo di carriera i Lizzy Borden perderanno una parte della carica selvaggia di “Menace To Society”, per uno stile un poco più ammiccante e commerciale. I risultati saranno comunque ragguardevoli, prima con “Visual Lies” e in seguito con le mosse più teatrali di “Master Of Disguise”. Sfioriti gli anni ’80, i fratelli Harges metteranno in naftalina la loro creatura fino al 2000, quando con “Deal With The Devil” la storia potrà ricominciare, tra buoni dischi – il migliore di questa seconda fase è probabilmente “Appointment With Death” del 2007 – ed esibizioni live di notevole impatto, con un Lizzy Borden ancora in ottima forma vocale e una valida line-up di contorno. In attesa di risentirli all’opera e riammirare l’ascia insanguinata sospesa su di noi, il loro secondo album va riscoperto, con assoluta determinazione e dedizione, da chiunque abbia a cuore il metal classico americano nei suoi anni d’oro.