7.5
- Band: LOATHE
- Durata: 00:49:19
- Disponibile dal: 07/02/2020
- Etichetta:
- Sharptone Records
- Distributore: Warner Bros
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Il metalcore da tempo non è un discorso banale: non è detto che chi lo pratica sia solo un cafone tracotante, non è detto che ci si debba affidare al solo istinto e al desiderio di menar le mani per provocare danni. O magari, questi elementi possono pure manifestarsi, andandosi però a saldare con un vago cerebralismo, una tranquillità digradante in una straniante atmosfera lounge, un tecnicismo che incanali al meglio la foga distruttiva. Stridori ansiogeni si intervallano a brillantini alternative/pop, le sincopi nutrono la rabbia e improvvisamente vanno a nascondersi, dando spazio a modi affettati che proprio non ti aspetteresti. È quello che accade con quei ragazzacci dei Loathe: damerini prestati ai bassifondi, oppure teppisti in vena di arrampicata sociale? Chi può dirlo. Fatto sta che “I Let It In And It Took Everything” è un ottimo specchio di cosa offra oggigiorno la musica heavy suonata da ‘giovani’ per i ‘giovani’: un concentrato di asprezze, esperimenti, meticciati, grovigli di note che in quanto a pesantezza e complessità si fanno assai apprezzare, e vi affiancano una melodiosità aperta, sofisticata, furba quel che serve.
Poliedricità che non fa rima con pretenziosità, nel caso dell’ensemble di Liverpool, approdato al secondo full-length con tutte le carte in regola per ampliare non di poco il suo seguito e ambire ai piani alti della musica dura contemporanea. Traguardi a cui è lecito guardare quando si hanno innumerevoli armi a disposizione e un songwriting capace di sfornare canzoni spezzettate, scostanti, virulente ma calcolate, abrasive e fantasiose, sempre in controllo. Un big bang calibrato in laboratorio di djent, richiami nu-metal, elettronica, post-rock, che prende a cazzotti, graffia, taglia, gigioneggia e cloroformizza. In pochi istanti, con noncuranza, senza schemi fissi, senza adagiarsi su intervalli prefissati di vuoti/pieni, piuttosto avendo come tratto comune il non offrire punti di riferimento stabili. Meglio, uno ce n’è, ed è la voce del frontman Karim France, un uragano vocale indomabile quando c’è da urlare e grugnire, un ometto gentile, affabile, rassicurante quando si sposta sul cantato in pulito. L’offerta è ampia, frastagliata, multiforme, nulla è in sconto, questo non è un outlet della violenza, non è un fast-food del disagio. Ha più la parvenza della boutique, della masterclass avente l’obiettivo di insegnare dove ci si possa spingere partendo dall’hardcore e filtrando idee grezze con un processo di affinamento e intellettualizzazione che arricchisca di significati i bollori di pancia, evitando di ammansirne la potenza.
Portentosi nelle partenze da velocisti sotto anfetamina (la concisa “Broken Vision Rhythm”), come negli arcobaleni emozionali (la ruffianissima “Two-Way Mirror”), i Loathe amano centrifugare le loro molteplici anime all’interno dello stesso pezzo, confezionando marasmi rigorosi e mai privi di una logica di fondo (il misto di strappi alla Korn, screamo e oscurità galante di “New Faces In The Dark”, per citarne una). Da creatori di hit sgamati la cura per refrain e cori (effetto chewing-gum assicurato per “Screaming”), altrettanto da manuale quella per la costruzione di breakdown ultra-heavy, una soluzione mai troppo insistita e che non suona di maniera quando presente. Non è ancora tutto imperdibile e geniale, questo dibattersi su molti fronti qualcosa per strada lo lascia, perché in alcuni frangenti l’assecondamento completo del proprio lato animalesco potrebbe portare risultati ancora migliori. Invece la band si compiace delle sue melodie da classifica e cerca di inserirle appena possibile, stratagemma funzionale a un ascolto per ampie platee, meno magari per la fascia rivolta al metal e all’hardcore più sostenuti. Poco male, un gruppo capace di rovesciarci addosso nello stesso disco la schizofrenia di una “Gored” (non lontana dal materiale dei connazionali Frontierer) e la mitezza simil-ballad di “Is It Really You?” non è robetta: il futuro (e il presente, sia chiaro) è dei Loathe.