7.0
- Band: LOCK UP
- Durata: 00:41:54
- Disponibile dal: 10/03/2017
- Etichetta:
- Listenable Records
- Distributore: Audioglobe
Spotify:
Apple Music:
Non tutte le ‘all star band’ vengono per nuocere. E’ il caso dei Lock Up, che da quasi vent’anni mantengono alta la bandiera del puro old school death/grind con le loro opere curate e ficcanti, pensate appositamente come alternativa ai grandi classici del genere (i quali, peraltro, vedono coinvolti gli stessi musicisti del progetto). Immesso sul mercato dalla francese Listenable Records, “Demonization” non fa nulla per sfuggire alla suddetta regola, configurandosi come l’ennesimo omaggio/tributo alle frange più violente e parossistiche della nostra musica preferita, quelle sdoganate dai primi lavori di Napalm Death e Terrorizer e poi prese a modello dai vari Assück, Brutal Truth e Nasum, per un risultato finale che punta all’usato garantito, al sicuro compiacimento di chi gira con la copertina “From Enslavement to Obliteration” tatuata sulla schiena. Detto dell’ingresso in formazione di Kevin Sharp, in sostituzione del dimissionario Tomas Lindberg, non si registrano particolari mutamenti a livello stilistico: trattasi infatti del solito pugno di brani che vede scorrere dinanzi a sé carneficine in salsa punk/hardcore e parentesi più groovy e rocciose, con il basso terremotante di Shane Embury e la batteria-metronomo di Nick Barker a scandire nervosamente i tempi della tracklist, sulla scia dei vecchi “Hate Breeds Suffering” e “Necropolis”. Il canovaccio viene rispettato appieno, e tra un ammiccamento a “Fear of Napalm” (l’incipit di “Foul from the Pure”) e un altro a “Birth of Ignorance” (la title track), l’album giunge presto a conclusione, non senza un forte senso di mestiere che – forse per la prima volta nella carriera della band – porta a livellare verso il basso il giudizio complessivo. Nulla per cui allarmarsi, beninteso: i fan del genere e dei gruppi sopracitati possono dormire sonni tranquilli, cullati dalla sicurezza di quattro veterani incapaci di concepire un brutto disco. Il classico ‘more of the same’ che non scontenta nessuno.