8.0
- Band: LOCRIAN
- Durata: 00:47:17
- Disponibile dal: 24/07/2015
- Etichetta:
- Relapse Records
- Distributore: Audioglobe
Spotify:
Apple Music:
Saliscendi emotivi strazianti, radure di elettricità, zampilli di luce, girandole di ombre… e piogge di cenere e meteoriti. Si potrebbe riassumere così questo comeback della ormai affermatissima band noise/post-black americana. Visto che il contratto con Relapse tiene, i Locrian hanno continuato a rimarcare il solco precedentemente marcato con l’ottimo “Return to Annihilaiton”, riaffermando con ancora più fermezza quanto si stiano avvicinando al giovane mondo post-black melodico di gente come Deafheaven, Amesoeurs, Les Discrets, Alecest, Lantlos e Vattnet Viskar, e quanto allo stesso tempo ne siano distanti anni luce. Non traggano in inganno le melodie sulfuree, i saliscendi emotivi drammatici (a volte per sino monumentali) o la tendenza di prendere il black e farne un affare da nerd introversi cronici con gli immancabili inserti di shoegaze, proto-screamo e post-rock. Chi comanda con il pugno di ferro nel sound di questa band, per quanto essa cerchi di aprirsi al nuovo e al più facilmente assimilabile, sono due cose soltanto, come sempre, e da sempre: il noise e l’industrial. Va apprezzato in questo senso lo sforzo fatto dai Nostri di non voler rimaner chiusi nel sottosuolo noise-sperimentale in maniera isolazionista, ma di voler invece dimostrare che i Locrian sono una creatura capace di mutare in infinite direzioni diverse, aprendosi senza esporsi, semplificandosi senza risultare erosi. Ecco cosa accade in “Infinite Dissolution”: chitarre, voci e batteria dettano l’agenda, liberandosi dal loro eterno giogo sperimentale e facendo uscire allo scoperto una rock band di razza, ma intrisa di astrattismo e inafferrabilità cronici e perpetui – schiavizzata e impostata da una perpetua tempesta di Moog ed effettistica di ogni sorta. Al consolidato binomio noise – black metal esistente sin dagli esordi si sono aggiunti – come sempre nel caos sonoro dei Nostri – un’alternanza costante di rimandi e influenze esterne che hanno materializzato un’opera capace di spaziare dagli ammiccamenti post-shoegaze dei Deafheaven, alle lande desolate dei Pyramids, ultimi Swans, Neurosis eccetera, sino agli abissi di distruzione psicofisica di gente come Sutekh Hexen, Wold e Skullflower. Se “Arc of Extintion” dunque apre il disco con un’inaspettata sovrastimolazione black grazie ad un blasting forsennato e a chitarre intrise di scorticature rovinose, il resto del disco si assesta poi su coordinate contaminatissime in un perenne gioco di rimandi e allusioni di difficilissima interpretazione. Prendete “An Index of Air” per esempio, una traccia che i Deafheaven avrebbero potuto scrivere dopo tre giorni ininterrotti di autosterminio neurologico a base di LSD. “The Future of Death” invece ha dei buildup colossali che portano alla mente le monumentali montagne russe emotive dei più recenti Swans o dei Godspeed You! Black Emperor, mentre “Dark Shales” va a scavare nei meandri più inaccessibili del subconscio post-cinematografico-psichedelico di gente come Zombi e Goblin. Si va di palo in frasca senza senso apparente ma nel mondo dei Locrian c’è una logica di fondo innegabile che lega il tutto in un continuum di senso impalpabile ma apparente. “The Great Dying” e “Heavy Water” sono il fondo di un abisso di melodia che i Locrian hanno iniziato a tessere sin dall’inizio dell’opera senza farcelo notare. Hanno un’aria sorniona e sognante come le fluidificazioni post-rock che possono incontrare per esempio negli Hammock o nei God Is An Astronaut, ma mentre il pezzo ci si srotola dinanzi il mondo sembra quasi sgretolarcisi attorno, crivellato da un incessante sciame di meteoriti di statica e vibrazioni noise sanguinate da un Moog ormai sfuggito ad ogni controllo. A intervallare in tutto, ci sono gli interludi noise-industrial “KXL”, ottimo contrappeso alla deriva neo-shoegaze dei Nostri, che costantemente riportano la band entro il loro baricentro principale di band blackened noise. Siamo insomma ad un punto di non ritorno. Pur in questa loro ritrovata semplicità e melodia, rimangono una delle band più enigmatiche e originali di sempre.