8.0
- Band: LOCRIAN
- Durata: 00:50:54
- Disponibile dal: 25/06/2013
- Etichetta:
- Relapse Records
- Distributore: Audioglobe
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Cosa spinge una etichetta come la Relpase Records a credere che un band come i Locrian abbia il benchè minimo appeal commerciale? Come può una etichetta tanto in vista e dagli alti costi di mantenimento anche pensare di recuperare un centesimo dalla pubblicazione del nuovo album del trio blackened noise di Chicago? Semplice, ci è arrivata prima di tutti gli altri a capire quale cavallo di razza le è piombato tra le mani. Proprio come successo con gli Horseback, band che sta sorprendentemente re-iniettando la Relapse di credibilità e rispetto dopo quasi un decennio di confusione e sbandamento, ovvero da quando i Neurosis hanno deciso di mettersi in proprio. E solo chi è dispsto a prendersi dei rischi alla fine aumenta le proprie chance di trionfare, e con questa pubblicazione la Relapse ha trionfato in tutto dimostrandoci ancora una volta di essere una indispensabilie luce guida nell’underground estremo. Come si suol dire, per vincere il gioco è necessario innanzitutto scendere in campo, e la Relapse ha dimostrato di avere ancora quel fiuto da vecchio segugio che aveva ai tempi di “Temple of the Morning Star”, “Through Silver In Blood”, e “Disembowelment”, e con “Return to Annihilation” dei Locrian ha disposto in campo una band che ha appena licenziato quello che è forse il miglior album heavy-sperimentale dell’anno. Chi conosce il trio saprà benissimo che sono un essere delle fogne, tre muscisti votati ad una introversione artistica patologica e che vivono musicalmente completamente lontano da ogni luce. Una band dalla sensibilità mainstream prossima allo zero e dal carattere artistico sfuggente e timido. Sono una band completamente volta all’oscurità che quando crea musica ha tutto in mente tranne il pensiero di come reagirà il pubblico all’ascolto. La loro esistenza è quella di band culto, di chimera musicale apprezzata soprattutto negli ambienti noise, avantgarde e sperimentali e completamente sconosciuta – o incompresa nella migliore delle ipotesi – alla maggior parte del pubblico metal mondiale. Con “Return to Annihilation” siamo invece praticamente obbligati a fare i conti con, e guardare dritto negli occhi, tre musicisti che hanno appena confezionato un album disumano per pesantezza, sconcertante per la violenza sonica che imbastisce e raccappricciante per il sanguinante carico atmosferico che questo è riuscito a veicolare. La musica dei Locrian in “Return to Annihilation” è pura scultura sonora, finissima ingegneria sonica in cui black metal, noise rock, doom metal, shoegaze, space rock e ambient vengono tessuti come le trame di un nuovo DNA heavy, di una nuova estetica estrema mai vista prima. Se la opener “Eternal Return” ci sevizia dolcemente con un heavy spych rumorosissimo di chiarissima derivazione mybloodyvalentiniana, la successiva “A Visitation From the Wrath of Heaven” ci trascina in un mondo di crudeltà musicale strangolante. Chi conosce la brutalità “mentale” e carnale degli Swans sa esattamente di cosa parliamo. Di musica che collassa. Di enormi “fumi” di suono che si agglomerano in nubi nere e dense dalla massa immane che poi collassano in loop, piegando lo spazio tempo sotto la coercizione di una ripetitività angosciante e di una abvrasività sonora suppurante. Non sono da meno la title track, in cui il build up centrale fatto di black metal completamente necrotizzato e noise rock cosmico intimorisce solo ad immaginarne il collasso finale (che punutalmente non delude seppellendo i timpani sotto una colata di calcestruizzo di reverberi e feedback spietata), e le dilanianti “Panorama Of Mirrors” e la finale “Obsolete Elegies”, che scarnificano primi Watain e Mayhem, li sfigurano rendendoli irriconoscibili e ridotti a delle carcasse di spigoli anneriti per poi polverizzarli in un nube tossica di scorie post-rock degne dei migliori Godspeed You! Black Emperor. I sali-scendi emotivi in queto album, la perizia nella composizione, il gusto nell’uso del semplice rumore, dei reverberi, dei delay, degli archi, degli organi, i synth analogici e delle pure e semplici onde sonore a tratti lascia esterreffatti. Questo album è un taglio netto, perpendicolare, che va in profoindità nella carne di generi molto familiari per creare poi un emorragico flusso di disintegrazione degli stessi, uno zampillante sanguinamento di astrazione che prosciuga la linfa di tutto quanto conosciamo del black metal, del noise rock e dell’heavy psich per ucciderli completamente e farli risorgere nelle spoglie di un altro essere sonico, inconoscibile, indomabile e indefinibile, ma maestoso, inquietante e pervaso di genialità. Si potrebbe definire “Return to Annihilation” come il miglior album di blackned-noise e di psichedelia annerita dell’anno. Ma sarebbe una forzatura che costringerebbe questo album colossale in una nicchia. In realtà “Return to Annihilation” potrebbe semplicemente essere il miglior album di metal sperimentale dell’anno.