7.0
- Band: LOCRIAN
- Durata: 00:47:43
- Disponibile dal: 26/03/2011
- Etichetta:
- Utech Records
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Ci sono album che permettono la neutralità e l’indifferenza ed altri, pochi, che invece sono di frontiera e obbligano l’ascoltatore ad una scelta: amare o disprezzare senza vie di mezzo. La Utech Records, che in questo campo non si smentisce mai ed è ben consapevole che il 99% delle volte chi disprezza certi suoni in genere semplicemente non ci arriva, vi costringe all’amara scelta, e stavolta vi invita a piegarvi al cospetto dell’impenetrabilità degli spaventosi Locrian. Quello del trio di Chicago è un mondo alieno, irriconoscibile e soprattutto inconoscibile. Non ci è permesso sapere cosa contiente o cosa lo anima, ma solo subirne la violenza insensata. I generi, i rimandi, le sonorità e i punti di riferimento vengono spezzettati e masticati dai Locrian in un polpettone rumoroso indecifrabile, una poltiglia di metalli pesanti, scorie radioattive, fili elettrici, carne, sangue ed ossa che si amalgama e si apre strada tra le rocce e le radici incenerite di una landa post-atomica desolata. Per qualche istante sparso qua e là nell’album appare un battito, lo spettro di una ritmica, ma sono solo sussulti, spasmi di un’inconoscibile materia oscura che sembra dimenarsi per qualche instante in una placenta di pazzia. Il resto è definibile con una sola semplice parola: noise, noise puro. Ovvero la mancanza quasi totale di un metro, di una ritmica o di una forma canzone riconoscibile. Black metal, noise rock, industrial e folk una volta esistevano in forma solida nel DNA dei Locrian e si sente, ma oggi questi alchimisti sonori hanno fuso e liquefatto tutto, lasciando ogni cosa scorrere via, dissiparsi ed evaporare in ogni direzione. Il risultato Ë uno straziante magma di rumore gravido di echi, feedback e riverbero che si espande in ogni direzione senza trovare contenimento alcuno o confini di sorta utili a rintracciarne l’origine o la natura. In "The Crystal World" si riconoscono – a fatica – nel vortice almeno venti strumenti fusi insieme in un abominio sonoro senza fine. Violini, violoncelli, synth, pianoforti, chitarre e bassi ovviamente, e perfino fisarmoniche, sono solo alcuni degli strumenti che si affacciano in superficie per riprendere aria di tanto in tanto, ma vengono poi immediatamnte ritrascinati e ingoiati negli abissi di un album che sembra senza fondo o fine. In realtà i grandi assenti qui sono ciò che in genere rappresenta l’ultimo baluardo di una certa sensatezza musicale, ovvero le percussioni. Ma i Locrian, come Sunn O))), Labradford, Yellow Swans, Nadja e gli Skullflower più recenti, ne fanno volentieri a meno e il mondo che ne scaturisce è loro e solo loro, indecifrabile e criptico in maniera totalizzante, ma non per questo privo di bellezza. Anzi.