7.5
- Band: LONG DISTANCE CALLING
- Durata: 00:55:19
- Disponibile dal: 06/03/2013
- Etichetta:
- Superball Music
- Distributore: EMI
Spotify:
Apple Music non ancora disponibile
Se qualcuno non lo avesse ancora capito, i Long Distance Calling non sono proprio la classica band post rock da suite strumentali interminabili e da facili formule sempre d’effetto, ma mai intraprendenti. Ci tenevano a farcelo sapere già da diverso tempo – e forse fin dagli esordi; ricordi, questi, oramai lontani, se pensiamo a “The Flood Inside” come ad un album di svolta e non ad un semplice nuovo capitolo dei tedeschi. Anzi, forse proprio perchè certe convenzioni stanno spesso strette, il quintetto ha deciso di rivoluzionare la propria idea musicale, dando vita a quello che si può definire l’album più rock e “commerciale” della band. Fuori il tastierista Reimut van Bonn, dentro Martin Fischer nel ruolo stesso di tastierista e, novità assoluta, di vero e proprio cantante. Una tempesta interna, quella suggerita dal titolo, che si concretizza proprio con questo nuovo innesto in formazione e il conseguente ammorbidimento di quel groove sempre adoperato con continuità in passato, qui messo in secondo piano a favore di uno sviluppo maggiore delle numerose partiture melodiche e delle onniscenti tastiere. Dall’iniziale “Nucleus”, che apre il disco con uno dei più classici crescendo emotivi della band (comunque arricchito da un lungo intermezzo solistico a spezzare la tensione), passiamo a uno degli stendardi di questa nuova pelle musicale con “Inside The Flood”, che presenta il nuovo acquisto e lo catapulta subito nell’arduo compito di impreziosire la già validissima formula dei Nostri, qui non eccessivamente mutata e per nulla fuori contesto rispetto alle passate composizioni. “Ductus”, un altro dei pezzi migliori, torna al totale sfogo strumentale e lo fa con un sapientissimo uso dell’elettronica (da questo punto di vista Fischer si è inserito con grande disinvoltura) e con una cavalcata post rock che non stonerebbe affatto neppure nei lavori degli esordi, mentre la seguente “Tall The End” presenta uno strano ibrido tra Porcupine Tree e Alter Bridge che proprio non riesce a convincerci. Lo spazio da sempre dedicato all’ospite speciale dietro al microfono ricade questa volta su Vincent Cavanagh e la sua “Welcome Change”, titolo rappresentativo per un pezzo dalla carica emotiva fortissima e dalle soluzioni strumentali molto varie ed assortite. Grandissima scelta quella di chiamare in causa il leader degli Anathema. Dopo la piacevole ma non esaltate parentesi di “Waves”, si passa invece ad un episodio interessante e dal sapore grunge con “The Man Within”, nella quale è evidente la volontà della band di valorizzare il cantato del frontman e la sua timbrica piuttosto rock, prima che la più dilatata – e intensissima – “Breaker” metta la parola fine al disco con il suo incedere electro e con un finale carico di epicità e di lontani sussurri che ci chiamano a loro. “The Flood Inside” era un disco carico di aspettative e di curiosità, non solo per un’evoluzione musicale inarrestabile e mai così dichiarata, ma anche per avere una ulteriore conferma di quanto i Long Distance Calling siano una band dall’impegno e dalla qualità costante, nonostante le continue proiezioni verso il futuro e il progressivo allontanamento dalle sonorità degli esordi. A conti fatti, le aspettative sono state ripagate: di certo non con un capolavoro, ma con il primo atto di una nuova formula che mette bene in chiaro quanto la band possa cambiare a suo piacimento, pur rimanendo sempre su standard molto elevati. Benvenuto cambiamento.