7.0
- Band: LONG DISTANCE CALLING
- Durata: 48:12
- Disponibile dal: 04/29/2016
- Etichetta:
- Inside Out
- Distributore: Universal
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C’era una volta una band di alternative rock strumentale, una band di album come “Avoid The Light”, per esempio. Una band che era riuscita a fare breccia come una spada teutonica, una delle più affilate, nel cuore dei suoi followers puntando sull’emotività, sui saliscendi imperiosi, come di consueto, ma anche su formule ritmiche e partiture che solleticavano l’orecchio di coloro più attenti al comparto tecnico. C’era anche “The Flood Inside”, dove i vari tentativi di brani cantati (Jonas Renske, John Bush, Peter Dolving, tra i nomi che avevano presenziato nei precedenti dischi) erano diventati volontà effettiva di avere una figura al microfono fissa. Ora arriva “Trips”, quinto album della band, ed è già tempo di sostituire il microfono: Petter Carlson, già conosciuto dai tempi del tour con gli Anathema di qualche anno fa, infatti prende il posto di Martin ‘Marsen’ Fisher, che registra qui solo le parti di tastiera e successivamente ha deciso di lasciare la band. L’accessibilità immediata e il tocco decisamente più prog rock, ancora una volta, diventano i cardini dell’evoluzione stilistica dei tedeschi che qui raggiunge forse il punto più avanzato (non a caso, infatti, l’introduzione in Inside Out). Nei viaggi onirici di “Trips” non manca però di sottolineare come il sound dei tedeschi sia rimasto il medesimo: il gusto degli arpeggi, le sezioni ritmiche, i momenti più spinti. Probabilmente sono le parti di synth e tastiera che dominano maggiormente, donando un sentore ancora più moderno che nei precedenti lavori, a livello formale e di sound specifico, sempre mantenendo quel gusto tipicamente anni 80 da colonna sonora science-fiction, orientato però verso formule più brevi, accattivanti e di impatto immediato. “Getaway” si riconnette infatti all’ultimo EP “Nighthawk”, mentre “Reconnect” entra già più vicino ad un concetto di progressive rock più immediato e contemporaneo, forse proprio per i toni di Carlsen, non particolarmente identificativi nel mare di nuove produzioni di genere, ma capaci di adattarsi ad un brano immediato e curato allo stesso tempo. Con “Rewind” troviamo un brano più intimo, in cui le tastiere di Fisher fanno appoggiare un’interpretazione piuttosto entusiasmante del nuovo Carlsen sul piano tecnico, seppur la sua pulizia eccessiva fa dimenticare i momenti passati della band, ancorati su una maggiore presa espressiva e probabilmente più ruvida. La produzione è ottima e tutto suona potente e chiaro come i Long Distance Calling hanno probabilmente voluto orientarsi in questi ultimi anni di carriera. L’album scorre in maniera degna del talento dei suoi musicanti, e non ha particolari momenti di sbandamento. Il concept del viaggio mentale emerge talvolta ma non sembra determinare in maniera effettiva l’andamento e la struttura del discorso generale qui presentato. “Trauma” offre il lato più metal e funambolico mentre la successiva “Lines” presenta quello più catchy ed immediato, di sicura presa sul pubblico. Uno degli episodi probabilmente più significativi ed apprezzabili del lotto è quello di “Flux”, brano che prende il suo tempo (quasi tredici minuti) e ricorda anche episodi più evocativi e sperimentali della band tedesca in ambito strumentale, così come ricorda episodi intriganti di band come Pineapple Thief e Scale The Summit. A conti fatti “Trips” non delude di certo, per classe, risultato e forma, ma a livello pratico, ora che il nome della band si trova al fianco di altri pezzi grossi del prog rock nel catalogo Inside Out, è decisamente dura emergere. Per ora, semplicemente, non sfigura di certo.