8.0
- Band: LORD GOBLIN
- Durata: 00:38:38
- Disponibile dal: 10/03/2024
- Etichetta:
- No Remorse Records
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Seppur parecchio in ritardo rispetto alla release ufficiale, non possiamo assolutamente non proporre ai lettori una delle migliori sorprese dell’anno ancora in corso, ad opera peraltro di un combo sul quale sventola teoricamente la bandiera inglese, ma che in realtà risulta composto interamente da musicisti italiani, di cui alcuni già noti del sottobosco per via della loro partecipazione a progetti (come gli epic metaller Icy Steel o i più progressivi Memento Waltz).
Non è semplicissimo descrivere la proposta musicale dei Lord Goblin, in quanto appare innegabile che alla base ci sia del sano e classico heavy metal epico, ma con delle influenze che pescano direttamente nell’old-school power e nel black metal, nonché in misura minore anche nello stoner/doom, soprattutto se si osservano la gestione della ritmica e gli inserti di tastiera dalle derive quasi psichedeliche; per non parlare naturalmente dell’atmosfera tetra e nel contempo luminosa che si respira mentre ci si approccia ad una selezione di brani a dir poco spiazzante, seppur con qualche piccolissima perplessità a livello strutturale, di cui parleremo dopo.
“Northern Skyline” ci accoglie immediatamente con un inizio belligerante e musicalmente in linea con quanto ci si aspetterebbe di trovare in un disco epic black metal, sulla falsariga dei Bathory o dei più recenti Stormruler, ma ben presto la voce pulita – seppur mai zuccherina – del frontman Marco Piu chiarisce che siamo in presenza di un album che non intende sacrificare la componente più orecchiabile, così come le sue origini ben radicate in un filone reso celebre da leggende come i Manowar o gli Slough Feg, con in più quella leggera parvenza di Candlemass ad aleggiare attorno all’intero comparto musicale.
“The Wanderer” rallenta il tiro, mettendo nel contempo più enfasi sui numerosi chiaroscuri e sulle melodie vocali, davvero coinvolgenti in concomitanza dei ritornelli, differentemente da una “The Oracle” che sfoggia orgogliosamente i panni di estratto più epic/doom del pacchetto, per la gioia di tutti coloro che avvertono un sussulto nello spirito ogni volta che una canzone dei Doomsword o dei Crypt Sermon emerge da un impianto audio.
Impeccabile anche la strumentale “Freedom Rider”, le cui soluzioni melodiche e ritmiche riescono nel non semplice compito di elevarla su un livello equiparabile alle controparti provviste di cantato, complice anche un guitar work gestito in maniera ottimale, con fraseggi e obbligati utilizzati ad hoc in piena tradizione heavy/power, malgrado sullo sfondo ci sia sempre un muro sonoro più in linea con il black metal più sanguinario. Con un po’ di fantasia, questo brano sarebbe la colonna sonora perfetta per una fase concitata di un romanzo o un videogioco dark/fantasy.
Sebbene riteniamo che la parentesi ‘drums only’ di “Thunderous Smite” si sarebbe potuta anche evitare, il fatto che questa funga da preludio per le due parti distinte del lungo brano “Light Of A Black Sun” ci è sufficiente per mettere momentaneamente da parte le critiche, in quanto parliamo senza alcun dubbio della fase più potente e sfaccettata dell’intero album, in cui sembra che le diverse soluzioni adottate giungano alla loro piena maturazione per poi abbracciarsi tra loro e sprigionare un’ondata di energia incontenibile: sia che siate degli amanti del power metal o del black, in questi due estratti (da osservare comunque come una cosa sola) avrete di che gioire, anche perché raramente ci è capitato di saggiare delle linee vocali tanto epiche, eppure così versatili. Volendoci sbilanciare, queste non stonerebbero in un disco degli Atlantean Kodex, ma nemmeno in uno dei Wintersun, anche se riteniamo sia difficile trovare per loro una collocazione migliore di quella attuale: una base musicale sullo stile dei Dissection, con un comparto melodico degno dei Blind Guardian, cosa si può desiderare di più da una formazione debuttante?
Ci fa enormemente piacere sapere che la celebre etichetta No Remorse abbia posato prima il proprio sguardo e poi il proprio contributo su quello che sarà il prosieguo immediato della carriera di questi ragazzi, perchè riteniamo ci sia davvero bisogno di loro per far capire a fruitori e colleghi come si contamina in maniera appassionata e intelligente il metallo più puro.
Quindi, considerando il nostro entusiasmo, quale potrebbe essere quel difetto di cui si è accennato nelle prime righe? Molto semplicemente, lo stesso che affligge anche il più che ottimo album dei colleghi statunitensi Savage Oath: una durata ridotta e una tracklist che sembra quasi incompleta. Per i Lord Goblin il discorso è lo stesso, ossia cinque pezzi cantati, uno strumentale e un intermezzo di batteria: il risultato alla fine appare degno di nota, ma anche un po’ breve e con una punta di incompletezza. Se la band avesse deciso di includere anche un paio di estratti dell’EP “The Ordeal”, il nostro voto potrebbe tranquillamente incrementarsi di almeno mezzo punto.
Speriamo che la band possa lavorare in questa direzione, fermo restando che parliamo di un lavoro stupefacente sotto pressoché tutti i punti di vista, e che ci auguriamo di poter presto saggiare in sede live, anche nella speranza che il riconoscimento da parte del pubblico possa attestarsi sui livelli meritati.