6.0
- Band: LORDS OF BLACK
- Durata: 00:57:40
- Disponibile dal: 06/11/2020
- Etichetta:
- Frontiers
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I Lords Of Black sono nati nel 2014 dal sodalizio tra il cantante Ronnie Romero ed il chitarrista Tony Hernando: dopo tre album insieme, nonostante il primo fosse stato chiamato già nel 2015 alla corte di Ritchie Blackmore come singer dei Rainbow, nel 2019 lasciava ufficialmente il gruppo. Hernando ha provato allora nuovi cantanti, con i quali sono state fatte anche alcune esibizioni dal vivo, finchè Romero, ascoltando il nuovo materiale su cui stava lavorando l’axeman spagnolo, non ha deciso di rientrare nuovamente nei Lords Of Black. Insomma, uno strano prendi e lascia, che fa immaginare tuttavia come qualcosa non stesse funzionando proprio bene tra i due o come probabilmente potessero essere diverse le motivazioni, magari anche per le varie collaborazioni dello stesso Romero (oltre ai Rainbow, lo ricordiamo con CoreLeoni, The Ferrymen, Vanderberg e con l’ex Rata Blanca Walter Giardino).
Avevamo apprezzato davvero i primi album della band e ricordiamo con particolare piacere soprattutto il secondo: in questo nuovo “Alchemy Of Souls”, ci sembra invece che non tutto fili per il verso giusto. Le influenze della band sono molteplici: citiamo ad esempio Rainbow, Dio, Masterplan, Queensryche, certo power melodico alla Reinxeed, insieme a venature neoclassiche, ma l’elenco sarebbe lungo. Il problema è che il songwriting appare poco ispirato e va a pescare tra riff e melodie già fin troppo sentiti e abusati. Insomma, poche idee, assemblate in canzoni che non si sforzano neanche di apparire accattivanti: in questo disco i Lords Of Black sembrano alquanto distanti dalla carica travolgente dei riff di “II” o dalla potenza espressiva del cantante, il quale si ostina su tonalità e soluzioni piuttosto simili tra un brano e l’altro, anzi ci sembra a tratti quasi irriconoscibile, perchè fatichiamo a riconoscergli il carisma e la personalità che lo hanno sempre contraddistinto. Ci sorge a questo punto il sospetto che possa aver avuto poco tempo per conferire la propria impronta e lavorare su dei pezzi possibilmente già pronti (o quasi).
Qualche brano meglio riuscito però c’è sicuramente: ci è piaciuto ad esempio “Deliverance Lost”, oppure sotto il profilo vocale la pianistica “You Came To Me”, nella quale Romero riesce a tirare fuori una performance teatrale e appassionata, ma il pezzo forte è rappresentato dalla titletrack, una traccia di oltre dieci minuti, con una struttura più articolata e un bel lavoro di Hernando, tra chitarre potenti, arpeggi flamencati ed emozionanti assoli.
Vedremo come si metteranno le cose per la band, peraltro intenzionata a quanto pare a dare continuità a questo disco, visto che viene presentato come “parte I”: di certo, auspichiamo che Romero, Hernando e compagni riescano a ritrovare quella magica alchimia che hanno sempre saputo sprigionare con la loro musica, che qui appare un po’ appannata.