8.0
- Band: LORDS OF BLACK
- Durata: 01:06:07
- Disponibile dal: 15/10/2021
- Etichetta:
- Frontiers
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“Alchemy Of Souls, Pt. II” è un nuovo disco dei Lords Of Black che, ovviamente, almeno a livello concettuale, rappresenta il seguito dell’album uscito poco meno di un anno fa. Ricordiamo come quel lavoro, in verità, non ci avesse particolarmente convinti: pur rappresentando, di fatto, un rinnovato sodalizio tra Tony Hernando e il ‘figliol prodigo’ Ronnie Romero, il risultato era, in effetti, perlopiù poco brillante e ispirato, ma in qualche misura anche poco convincente a livello interpretativo da parte di quest’ultimo, al punto da sembrarci a tratti irriconoscibile, per quanto non mancassero comunque anche alcuni pezzi obiettivamente meritevoli di considerazione. Sulla base di queste premesse, non erano dunque particolarmente alte le nostre aspettative per questo seguito, pubblicato peraltro a così poca distanza dal precedente: in tal senso, non ci è sembrato particolarmente incoraggiante l’avvio della tracklist, rappresentato da una breve intro strumentale e da una traccia, un po’ scialba (al di là di un bell’assolo), come “Maker Of Nothingness”.
A partire tuttavia da “What’s Become Of Us”, si assiste ad un deciso cambio di passo: le canzoni appaiono caratterizzate dal ‘solito’ gran lavoro chitarristico di un maestro come Tony Hernando, tra poderosi riff e dirompenti assoli, la sezione ritmica è vivace e dinamica e, soprattutto, Ronnie Romero torna a essere quello che conoscevamo, ovvero un istrionico performer, dotato di una grande voce, proprio quella che Ritchie Blackmore, quando lo scelse come cantante dei riformati Rainbow, definì una “via di mezzo tra Ronnie James Dio e Freddie Mercury”. Anche a livello di songwriting, questa seconda parte funziona davvero bene, con tante belle tracce nelle quali si può riscontrare un ottimo mix tra potenza e squisite melodie, che trovano perfetta espressione in refrain molto coinvolgenti e accattivanti, impreziositi ancor di più, ovviamente, dalle interpretazioni di Romero. C’è anche una notevole cura dei dettagli, con Hernando che si occupa di inserire con gran gusto non solo più linee di chitarre, ma anche di tastiere, con tappeti, appoggi pianistici o, talvolta, persino con piccoli passaggi per condurre determinati temi (comunque piuttosto semplici, non essendo chiaramente un vero e proprio tastierista), ‘riempiendo’ ciascun brano nella giusta maniera, senza lasciare nulla al caso e senza strafare. Non mancano neppure venature progressive, ad esempio in tracce come “Fated To Be Destroyed” o “No Hero Is Homeless” (quest’ultima con alcuni passaggi, tipo il bridge, che ricordano tanto i Symphony X), che s’inseriscono comunque in sound che riesce ad essere fresco e accattivante sin dai primissimi ascolti.
Insomma, i Lords Of Black sembrano essere tornati ai livelli con cui li avevamo conosciuti e apprezzati nei primi album, sfoderando un bel disco, nel quale possiamo apprezzare una piena e ritrovata alchimia tra tutti i suoi interpreti.