7.5
- Band: LORNA SHORE
- Durata: 00:45:02
- Disponibile dal: 31/01/2020
- Etichetta:
- Century Media Records
- Distributore: Sony
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E’ qualche anno che i Lorna Shore sgomitano nei ranghi del deathcore per fare il definitivo salto di qualità. Quella del New Jersey è una band che in studio ha fatto bene e meglio si è comportata nei tour a supporto delle realtà più in vista della scena, ma a coglierne i frutti sembrava essere solamente il vocalist Tom Barber, che nel 2018 lasciò il gruppo a favore dei più popolari Chelsea Grin. La permanenza ridottissima del sostituto CJ McCreery, silurato istantaneamente e senza possibilità di appello in seguito ad accuse di comportamento abusivo e razzista, è stata un secondo colpo fatale proprio alla vigilia della pubblicazione di “Immortal”, ma a quanto pare il mastermind Adam De Micco non ha alcuna intenzione di mettere la parola fine alla sua martoriata creatura. A ragione ci vien da dire, visto che il terzo disco in studio dei Lorna Shore, dal profetico titolo, ha il sapore del riscatto. Pubblicato secondo i piani nonostante il posto di vocalist vacante, “Immortal” è un grande passo avanti che va a mantenere il meglio della passata discografia snellendo la formula e spingendo per creare un suono personale e distintivo: in questo senso sono dominanti da subito gli innesti sinfonico/orchestrali, che vanno a permeare il disco in maniera determinante, aumentando la componente melodica e lo slancio epico (un esempio calzante è “Hollow Sentence”). Rimangono le influenze black metal, mentre il chitarrista/mastermind dimostra di aver affinato il proprio stile con assoli pregevoli e passaggi tecnici esaltanti all’interno di tracce costruite e rifinite in maniera minuziosa. Certo, i Lorna Shore rimangono all’interno del proprio genere di appartenenza (“This is Hell”, “King ov Deception”, “Darkest Spawn” finiranno in parecchie playlist) e sebbene le coordinate del vocalist sia quanto di più canonico nell’universo deathcore, la prestazione è assolutamente brutale, disumana e a tratti schifosamente laida (per farvi un’idea mettete “Misery System”). Anche i breakdown sono utilizzati in maniera più accorta e funzionale, aumentando così l’impatto in composizioni ben sviluppate. Tecnica, brutalità, pesantezza e atmosfera sono perfettamente bilanciate: è questo il miglior pregio di una raccolta che che può essere utilizzata come monumento alla resilienza, che merita di cancellare coi fatti tutto il tifone che ne ha anticipato l’uscita e schiacciando i Carnifex nel blackened deathcore.