7.0
- Band: LOTUS THIEF
- Durata: 38:22
- Disponibile dal: 12/01/2020
- Etichetta:
- Prophecy Productions
- Distributore: Audioglobe
Spotify:
Apple Music:
I pray the gods to quit me of my toils / To close the watch I keep this livelong year / For as a watchdog lying not at rest / Propped on one arm upon the palace roof / Of Atreus’ race, too long, too well I know / The starry conclave of the midnight sky (“Agamennon”)
Diciamoci la verità. Le influenze letterarie – o ancora peggio, le trasposizioni – nel mondo del metal non hanno orbitato spesso oltre i classici Moby Dick, Dracula, Il Signore degli Anelli e qualche altro caposaldo gotico/fantasy ottocentesco. Sembra assolutamente interessante, dunque, affacciarsi di nuovo alla tragedia greca. E, dunque, attendere il nuovo lavoro dei post-metallers di San Francisco, già dediti all’elaborazione di Crowley o del “De Rerum Natura” di Lucrezio.
Certamente la casa degli Atridi non è certo territorio sconosciuto ai metallari (i Virgin Steele, per dirne una, ci avevano composto almeno due dischi) ma nell’ambito post-metal il territorio tragico sembra ancora materia da cui attingere vera linfa. E come non potrebbe, dopotutto, con tutta la varietà di interpretazioni che un’opera ampia come l'”Oresteia” potrebbe ancora dare oggi? I Lotus Thief prendono a piene mani da quel territorio e affrontano, attraverso quelle trame, alcuni dei punti chiave della modernità: il genere, il peccato di hybris, la legge dello stato e dell’individuo, etc. Ma non ci si preoccupi eccessivamente. Non bisogna avere un master in lettere classiche per poter assaporare la bellezza di questo disco: la funzionalità del discorso resta all’appannaggio di un prodotto musicale pensato per un pubblico ampio, seppur, fondamentalmente, ancorato alle radici di genere.
Il sound è quello che ci si aspettava nell’evoluzione della band, soprattutto in termini di appeal (esemplificato nella suadente “Sisters In Silence”). Il tutto sembra pane per i denti degli aficionados di Avatarium (più heavy-metal), quelli di Worm Ouroburos e di certi SubRosa e territori post-metallici. Qui e là un certo sentore black metal, giusto una spruzzata di urla e qualche blastbeat (“The Furies”) ed il gioco è fatto. Le tonalità del disco, però, restano principalmente su toni ariosi e magniloquenti, epici e grandiosi, senza relegarsi a nessun picco cupo o truculento, riuscendo, oltretutto, a far stare tutto quanto in una quarantina di minuti, intermezzi compresi. Il quintetto appare coeso, e su questo spicca sicuramente la performance di AJL alla voce principale (“Libation Bearers” su tutte).
“Oresteia” non è un disco di cui innamorarsi follemente, ma al tempo stesso non risulta così peculiare o originale come si sarebbe potuto sviluppare se si fosse tentato di percorrere una strada più espressiva ed eccentrica. Vero è che, al suo termine, la piacevolezza delle sue trame può lasciare un qualche sentore di sublime.