7.5
- Band: LVCIFYRE
- Durata: 00:42:09
- Disponibile dal: 02/01/2012
- Etichetta:
- Pulverised Records
Spotify:
Apple Music non ancora disponibile
Per quelli che non si sono ancora ripresi dallo scioglimento degli Angelcorpse o che pensano sempre con nostalgia alla scena death metal statunitense tardo-novantiana, questo “The Calling Dephts”, primo disco dei londinesi Lvcifyre, è come ossigeno, una manna per dei polmoni desiderosi di respirare ancora quei venti tempestosi che spiravano da quella scena che per vari anni rimase l’unico baluardo estremo in grado di resistere allo strapotere delle sonorità più mainstream generate dall’esplosione del grunge prima e del nu poi. Ci troviamo al cospetto del death metal più cupo e sfrontato, quello che non ha nulla da invidiare al black in quanto a malvagità e perfidia. Quello che si suona con l’effigie di Satana dipinta col sangue sul muro della sala prove, tra fumi e odori malsani. Una bolgia infernale che, per un certo periodo di tempo, solo Immolation, (primi) Morbid Angel, Vital Remains e appunto Angelcorpse sembravano poter essere in grado di creare. Tuttavia, è ormai appurato che questo genere di suoni stanno riprendendo piede nell’underground odierno; non è più raro imbattersi in una band che guarda al passato, nemmeno in una nazione notoriamente sensibile alle mode come l’Inghilterra. I Lvcifyre si inseriscono nella scia tracciata dai connazionali Cruciamentum e con “The Calling Dephts” partoriscono un’opera che per trasporto e cura nei dettagli ha poco da invidiare a molte delle migliori pubblicazioni death metal degli ultimi tempi. Analizzando sia il songwriting che la produzione (organica, ma non oltremodo disordinata come spesso accade ultimamente in questi ambienti), l’impressione che resta è sempre quella di avere a che fare con un gruppo che ha fatto le cose con calma e senza strafare, lasciando maturare la propria esperienza per poi concentrare tutti i propri sforzi soltanto su ciò che gli riesce meglio. Il risultato è un album compattissimo e determinato; un album “di genere”, che senz’altro potrebbe annoiare chi trova anacronistico ed immotivato il proliferare di produzioni più o meno legate alla scena death metal tradizionale (in questo caso americana), ma che probabilmente farà gioire chi adora quel sound, soprattutto quando è proposto in maniera così viscerale e concreta.