8.0
- Band: LYCHGATE
- Durata: 00:49:49
- Disponibile dal: 18/08/2015
- Etichetta:
- Blood Music
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Non è semplicissimo rintracciare il filo conduttore del secondo disco degli inglesi Lychgate. Non è un’operazione facile ed è probabilmente il metodo più sicuro per rimanere ancora più spaesati e inebetiti di fronte a un universo sonico intangibile, destrutturato, in preda a rarefazioni e spasmi solo vagamente riconducibili a un ‘normale’ contesto metal. “An Antidote For The Glass Pill”, titolo già di per sé criptico e per nulla esplicativo del possibile contenuto dell’opera, garantisce un cocktail emozionale che chiama a gran voce, per etichettarlo, aggettivi vaghi e buoni un po’ per tutto come ‘sperimentale’ ed ‘avanguardistico’. Quest’album, per sommi capi, potrebbe essere definito come una lunga, instabile, labirintica sinfonia metallica, irrequieta e surreale come una bislacca rappresentazione di teatro dell’assurdo. Un enorme arazzo multicolore dove rintracciare la labilità strutturale delle colonne sonore, la sintassi aggraziata e voluminosa della musica classica più cerebrale, la spavalderia spiritata dell’avantgarde metal nordico. E, quale sostrato di spessore variabile, ma sempre presente, il black metal. A tenere le redini di ogni situazione e a indirizzare le sorti di “An Antidote…” è l’organo, al quale viene richiesto trasformismo e credibilità in ogni identità assunta. Si punta alla stupefazione muovendosi in punta di tasti, le chitarre retrocedono, a parte le selezionate parti in blast-beat, a semplice sfondo, oppure sono quasi del tutto assenti e gravitano attorno alle tastiere come un satellite intorno alla propria stella. Particolarissimo anche il lavoro percussivo, solo in misura minoritaria relegato a cadenze tipicamente metal: il grosso dei pattern rimanda a uno strano intreccio di rullate di ambiente jazzato e sinfonico, accelerate imprevedibilmente quando le dense peregrinazioni tastieristiche si sfrangiano e la teatralità degli Emperor di “Prometheus…” si fa strada ad ampie falcate. Rivoli di rumori ambientali scorrono dappertutto, le tracce assumono le sembianze di semplici contenitori per modulazioni di suono spezzettate, apparentemente incoerenti, guidate più dall’istintività che da un disegno precostituito. Una specie di schizofrenia latente passeggia sommessamente in ogni angolo, vengono alla mente gli Arcturus di “La Masquerade Infernale” o i Dodheimsgard dell’ultimo “A Umbra Omega”, ma in entrambi i casi un minimo di omogeneità almeno all’interno dei singoli brani la si poteva riscontrare, mentre una “I Am Contempt” o “Letter XIX” ondeggiano oblique in una diluita melassa gravida di suggestioni negative, prevedendo brusche interruzioni e cesure in corrispondenza della salita in cattedra delle chitarre e di un inasprimento vocale. Anche la voce asseconda questa immane distorsione della realtà, completamente asservita alle geniali paturnie di nientemeno che Greg Chandler degli Esoteric: screaming lancinanti, angoscianti strascicamenti, momenti luridi e altri sacrali descrivono concetti complessi e intangibili, di ostica comprensione come la musica stessa. E mentre i raffinati arrangiamenti classici quasi coincidono con le rivisitazioni di Musorgskij argomentate dai Mekong Delta in dischi come “Dances Of Death (And Other Walking Shadows)” e “The Principle Of Doubt”, noi si affonda e si scompare in un gorgo di correnti sonore in arrivo dai punti più disparati dell’iperspazio, che si incontrano e si attraversano ora in discordanza, ora in perfetta simbiosi. “An Antidote For The Glass Pill” non è per tutti, la penuria di schemi a facile presa e realmente trascinanti ne limita sicuramente il fascino ai non amanti delle sonorità più bizzarre, ma se si ha un minimo di pazienza per avvicinarvisi e assecondarne le anomale ondulazioni, allora potrà regalare grandi soddisfazioni.