8.0
- Band: MACHINE HEAD
- Durata: 01:10:57
- Disponibile dal: 07/11/2014
- Etichetta:
- Nuclear Blast
- Distributore: Warner Bros
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Parlare di “Bloodstone & Diamonds” in maniera univoca e capace di accontentare tutti, amanti e detrattori della band americana, è certamente un’impresa scoraggiante, una missione impossibile che cercheremo quindi di evitare sin dal principio, concentrandoci solamente su quanto di buono (o a seconda dei punti di vista di cattivo) è stato realizzato dai quattro in questa loro ottava fatica in studio, evitando qualsiasi tipo di “pressione esterna”. Che “Through The Ashes Of Empire” prima, “The Blackening” poi ed in misura minore il successivo “Unto The Locust” abbiano rappresentato una vera e propria rinascita per i Machine Head è ormai considerazione scontata e palese, corroborata da un rinato interesse verso di loro in tutti gli angoli del pianeta e ribadita oggi tra i solchi del nuovo album. Ci teniamo a sottolineare da subito quindi, che “Bloodstone & Diamonds” si inserisce non solo cronologicamente, ma anche artisticamente nel percorso tracciato dalle precedenti releases: un percorso ambizioso, complesso e comprendente il più possibile tutte quelle sfaccettature che nei suoi 22 anni di carriera ha caratterizzato l’operato del padre-padrone Rob Flynn, attento anche stavolta a non lasciare niente al caso e a confezionare un prodotto-sommario ed il più possibile esaustivo sul Machine Head-pensiero, fin troppo in alcuni frangenti. Ignorare la formula compositiva tecno-progressive-thrash(!) inaugurata in “Through The Ashes Of Empire” e definitivamente osannata nell’album successivo, sarebbe stata una pazzia non perdonabile alla band, che decide infatti di aprire le danze puntando sul sicuro con “Now We Die”, introdotta da flebili violini, costruita intorno a rocciosi mid-tempos tipici per gli americani e dotata dei soliti pomposi arrangiamenti che prolungano la durata del brano oltre i sette minuti: dopo svariati anni, i Nostri sono però ormai abili a tenere saldamente in mano il filo del discorso anche su queste tempistiche e tra immancabili armonici, ritornelli emotivi, assoli infuocati ed armonizzazioni maideniane, superano brillantemente la scottante prova dell’opener. Lo sguardo di Flynn è ampio e onnicomprensivo, ed evitando quindi di realizzare un “The Blackening Pt. II” cambia rapidamente registro con “Killers & Kings”, che in memoria dei vecchi tempi sfodera gli artigli per il pezzo più heavy dell’intero lotto, privo voci pulite, passaggi delicati e concentrato piuttosto a picchiare duro il più forte possibile. Stilisticamente, “Ghosts Will Haunt My Bones” segue il passato più recente della band, incentrata sulla buona, anche se un po’ stucchevole, prestazione di Robert alla voce, mentre “Night Of Long Knives”, gasata e sfacciata nella prima parte, finisce per perdere tiro in un seguito rallentato certamente non imprescindibile: è forse questo in definitiva, il difetto più spesso riscontrabile tra le nuove canzoni di questo album, visto che, dalla parte centrale della tracklist in poi, abbondano momenti fin troppo melensi o comunque esasperati nella ricerca spasmodica di unire all’interno di uno stesso disegno generale tanti, troppi spunti e correnti musicali (“Sail Into The Black”, “Damage Inside”, “Imaginal Cells”). Non mancano però allo stesso tempo numerosi highlights che impennano positivamente il nostro giudizio, grazie alle ottime prove di “Eyes Of The Dead”, dove il crescendo strumentale e vocale fa scuola, o un’ inattesa “Beneath The Silt” con il suo riffing spigoloso e dal flavour alternative-grunge, capace di donare un carattere inedito allo stile dei Machine Head. Tirando le somme, il quartetto di Oakland avrebbe certamente potuto asciugare il prodotto e concentrare in un minutaggio più conciso le buone, ottime idee che ancora escono dalla penna del loro mastermind, mai come oggi a suo agio nella proposizione di strutture, arrangiamenti e scelte da studio ascrivibili solamente alla fascia più alta e -perché no?- mainstream del metal mondiale, compito questo non certo facile che il buon Robert sembra però assolvere con una naturalezza davvero encomiabile. Non ci troviamo di fronte ad un album innovativo, di rottura o concettualmente rinchiuso nelle sudicie bettole da cui oggigiorno provengono molte delle esaltanti new sensations vomitate dall’underground: i Machine Head appartengono all’altra faccia della musica, quella da migliaia di copie vendute e venues gigantesche stipate di persone, un versante che, nonostante tutto, reclama a gran voce dei degni successori in seguito all’inesorabile declino delle vecchie e rinomate glorie. I Machine Head sono qui per questo, sono pronti al passaggio del testimone, e “Bloodstone & Diamonds” lo ribadisce testardamente, nel caso ce ne fosse ancora bisogno.