8.5
- Band: MAESTRICK
- Durata: 01:18:34
- Disponibile dal: 02/05/2025
- Etichetta:
- Frontiers
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I brasiliani Maestrick sono un gruppo di cui si sa pochissimo, al punto da dover faticare per trovare qualche informazione su una compagine nata circa due decadi anni fa ed esordita al grande pubblico con “Espresso Della Vita: Solare” – uscito ormai nel 2018 – e seguito dal fratello “Espresso Della Vita: Lunare” qui presente. La band sudamericana, nella sua opera rock divisa in due atti, utilizza l’allegoria del treno – l’espresso della vita, appunto – come mezzo di trasporto utilizzato per percorrere l’intera esistenza umana, fatta di gioie, sofferenze, sfide – insomma, momenti solari e luminosi alternati a periodi lunari e notturni.
Dal punto di vista della composizione testuale, la seconda parte del viaggio si articola su dodici tracce in cui la band tocca le tematiche più disparate che vanno dalla dipendenza, all’abuso, passando per le situazioni politiche attuali o, addirittura, la terribile macchia nera dell’Olocausto; temi importanti questi, che vengono vissuti e raccontati dal misterioso protagonista la cui identità verrà rivelata solo durante l’ultima traccia, che rappresenta appunto la fermata finale del viaggio.
“Espresso Della Vita: Lunare” è un album multilivello, difficile da ascoltare, da capire e, soprattutto, da digerire in modo appropriato; un album in cui moltissime ispirazioni si fondono in un crogiolo che amalgama sapientemente le aperture melodiche di band come i Dream Theater, i virtuosismi tecnici vicini ai Symphony X ma anche le bellissime parti di piano di band come i Kamelot o le orchestrazioni che hanno reso famosi i Nightwish, il tutto condito da una voce calda e versatile che tanto attinge dai compatrioti Angra e dal compianto Andre Matos.
L’apertura del disco viene delegata – come in ogni rock opera che si rispetti – ad un breve intro dal titolo “A Very Weird Beginning”, seguito da “Upside Down”, due pezzi che portano subito l’ascoltatore in un mondo bislacco, confusionario e, a tratti, circense. I brani, dotati di una forte componente cinematografica, potrebbero figurare magistralmente in uno dei capolavori di Tim Burton oppure nel primo “Fantasia” della Disney, mentre il passeggero del treno vede il suo mondo andare letteralmente sotto sopra all’inizio di un viaggio che lo accompagnerà in tutta la sua esistenza.
La coppia di apertura viene seguita da “Boo!”, un pezzo che punta a spaventare l’ascoltatore con dei riff di chitarra pesanti e pastosi, accompagnati da una voce isterica, a tratti strillata, intervallata da citazioni sottostanti che rendono il brano ansimante e sofferto, come la fuga del protagonista da un cacciatore dal grilletto facile che lo bracca implacabilmente. La prima parte dell’album è chiusa da “Ghost Casino”, in cui jazz e metal vanno a braccetto sin dall’apertura del brano, grazie allo schioccare di dita che scandisce il tempo di uno swing di pianoforte su cui un walking bass fa da re. Il groove è assolutamente coinvolgente, e l’architettura ritmica su cui il gruppo si destreggia mette in luce le capacità tecniche e musicali di un quartetto che sa chiaramente come comporre attingendo da tavolozze musicali cromaticamente molto distanti tra loro.
Quella identificabile come la seconda parte dell’album sposta il focus su sonorità più melodiche e vicine alle ballate rock classiche, iniziando proprio da “Mad Witches”, un lungo brano spezzato in due sezioni e intermezzato da una delle più belle parti di pianoforte e voce dell’intera opera, magistralmente cantato da Giulia Nadruz, attrice e cantane brasiliana chiamata a contribuire in diverse parti dell’album.
Il vero e proprio lento – dal titolo “Sunflower Eyes” – si trova invece nella posizione centrale dell’opera e ingloba tutti gli stilemi più classici della ballad, articolandosi completamente su un tappeto arioso e luminoso di pianoforte su cui si adagia la bella voce del frontman Fábio Caldeira. Il brano, oltre ad essere uno dei più cantabili dell’intero album, riesce anche a fondere diverse influenze prese dalla musica elettronica nella forma di filtri vocali che bene si amalgamano con il timbro del Caldeira; in fine, lo struggente solo di chitarra di Guilherme Carvalho offre il contorno perfetto per un pezzo che riporta l’ascoltatore ai Dream Theater di “Another Day” oppure agli Angra di “Bleeding Heart”.
Se la seconda parte dell’album è caratterizzata da un calo energetico e uno spostamento nella dimensione più intima dell’introspezione, la terza sezione riporta in alto l’adrenalina proponendo pezzi che enfatizzano gli aspetti più power di “Espresso Della Vita: Lunare”. “Lunar Vortex” è forse l’emblema di questa terza sezione e si presenta sorretto da un solido riff di chitarra, addolcito da un pianoforte che saltella elegantemente su una batteria dritta e senza fronzoli ma di sicuro impatto. La voce che accompagna i Maestrick è questa volta quella di Roy Khan (ex Kamelot, Conception), il quale non può fare a meno di imprimere un marchio di fabbrica molto definito su un pezzo aggressivo ma al contempo solenne, fortemente influenzato dai filtri vocali che caratterizzarono lo stesso stile di Khan ai tempi dell’album “Ghost Opera” dei Kamelot.
“Agbara” regala dal canto suo un’esperienza diversa e nuova all’interno dell’opera, un brano in cui i Maestrick toccano e mettono in mostra la bellissima – e diversissima – cultura brasiliana grazie alla fusione tra rock e musica tradizionale carioca, creando un sapore fatto di poliritmi e cori – proposti rigorosamente in portoghese – su cui Jim Grey dei Caligula’s Horse si incastra perfettamente. Una nota di merito anche per il video rilasciato con questo secondo singolo, un esplosione di colori e disegni tribali che regala un contrasto strano ma azzeccato quando viene associato alla musicalità del brano; “Agbara” è probabilmente il pezzo più originale dell’intero album proprio grazie a questo potpourri culturale che lo rende tanto ‘strano’ alle orecchie europee quanto interessante ed eccitante.
La chiusura dell’album viene dedicata alla lunghissima “The Last Station (I a.m. Leaving)”, brano di ben diciotto minuti in cui la band ripercorre gli stili musicali presentati riproponendoli in un brano che sancisce la fine dell’opera, identificata appunto dall’ultima fermata del treno. In quasi venti minuti di canzone i Maestrick riescono a tenere alta l’attenzione dell’ascoltatore grazie a ritornelli godibilissimi, cambi di tempo e soli di chitarra che fanno variare l’architettura compositiva mantenendola sempre fresca e accattivante durante tutto il brano.
L’ultima stazione è anche il momento in cui il protagonista dell’avventura si rivela all’ascoltatore con il nome di Dante: esso, insieme ai titoli in italiano dei due album che compongono l’intero concept, sottolinea quella che è un’apprezzatissima citazione alla cultura del nostro paese e all’opera magna di Alighieri, “La Divina Commedia”.
“Espresso Della Vita: Lunare” dei Maestrick è uno di quegli album che abbandonano la dimensione prettamente musicale e si propongono all’ascoltatore quasi come fossero dei libri, dei film, delle opere teatrali, insomma un caleidoscopio che mescola diverse forme di espressione artistica. Questa è un’opera che va ascoltata e riascoltata, letta e riletta, assaporata ancora ed ancora al fine di scoprire tutte quelle citazioni, quei richiami e quei fili conduttori che tengono legato un album in grado di andare ben oltre la mera etichetta del concept.
Il secondo lavoro dei Maestrick è un bellissimo lavoro che sprizza passione, professionalità, capacità tecniche e voglia di fare musica come difficilmente si vedono; ascoltando e riascoltando l’album si fa davvero fatica ad immaginare questi ragazzi salire un ulteriore scalino e rilasciare qualcosa di meglio di “Espresso Della Vita: Lunare”, un’opera che ha tantissimo da offrire, in grado di saziare per molto tempo anche gli ascoltatori più esigenti.