6.5
- Band: MAGIC KINGDOM
- Durata: 01:01:20
- Disponibile dal: 22/11/2019
- Etichetta:
- AFM Records
- Distributore: Audioglobe
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Uno dei titoli più cafoni in assoluto, per quella che si prospetta sin da subito come una delle più tamarre tra le numerosissime uscite power metal di questo ormai concluso 2019, almeno per quanto riguarda le tematiche trattate. Pur non aspettandoci dai belgi Magic Kingdom un degno erede del bellissimo “Symphony Of War”, datato 2010, in cui il compianto Olaf Hayer dietro al microfono rappresentava la vera superstar, quantomeno un buon seguito del fortunato “Savage Requiem” sarebbe già alquanto apprezzato – anche grazie alla presenza di un gigante storico come Michael Vescera, giunto in soccorso dopo il fallimentare ingaggio di messer Fabio Lione, rimasto attivo in formazione solo pochi mesi nonostante l’annuncio in pompa magna.
Una delle caratteristiche principali che non dovrebbero mai mancare in un album di questo tipo, tendenzialmente improntato all’intrattenimento, è senz’altro l’immediatezza, caratteristica che sin dalle fasi iniziali, con la lunga suite “Unleash The Dragon”, parrebbe essere stata curata solo in parte: pur avendone apprezzato l’incedere incalzante e le soluzioni melodiche, non vi è infatti una reale motivazione, in termini di modulazione e/o sviluppo del songwriting, per cui una traccia con queste caratteristiche debba durare quasi nove minuti. Le ben più brevi “Wizards And Witches” e “In The Den Of The Mountain Trolls” rendono bene l’atmosfera predominante tipicamente fantasy e quasi festaiola, o quantomeno la seconda delle due, ma dal punto di vista musicale non catturano del tutto il fruitore a causa di una evidente mancanza di incisività; rende al meglio invece la più tamarra “Fear My Fury”, il cui ritornello si lascia ricordare e cantare con piacere anche dopo un unico ascolto. Con “Rise From The Ashes, Demon” torniamo sopra i sei minuti, giustificati in questo caso da una buona varietà interna al pezzo, che contribuisce a renderlo una delle più interessanti del pacchetto. Tuttavia è nella successiva titletrack che il mitico Michael può fare sfoggio di tutta la propria estensione vocale, che, per quanto un po’ affaticata, riesce sempre e comunque a colpirci, nonostante i molti anni trascorsi dal suo periodo di permanenza all’interno della band del leggendario virtuoso della sei corde Yngwie J. Malmsteen, il quale ha sempre e comunque saputo circondarsi di vocalist coi contro-cosiddetti. Tra l’altro, guarda a caso, è proprio a quest’ultimo che si ispira il chitarrista e leader dei Magic Kingdom, Dushan Petrossi.
“So Fragile”, oltre a dare il via alla seconda metà del lavoro, rappresenta l’estratto più breve dell’intera tracklist: un midtempo gradevole e cantabile, con delle soluzioni musicali che ricordano quasi un brano proveniente dal repertorio dei primi Sonata Arctica, seppur con una verve neoclassica più marcata.
Sebbene il giro melodico alla base del ritornello di “Temple Of No Gods” somigli tremendamente a quello di una decina di tracce di genere affine, bisogna ammettere che il risultato fa la sua figura, smorzata poco dopo da una ballad apprezzabile, ma dannatamente prolissa, come “Just A Good Man”. Completamente all’opposto, “Dark Night, Dark Thoughts” ci stimola finalmente all’headbanging più sfrenato, accompagnato da una sana dose di ugola in fiamme in concomitanza di un chorus nuovamente derivativo, ma confezionato con una cura al limite del sopraffino, il che, all’atto pratico, ne fa probabilmente il brano più esaltante di tutta la scaletta. Ci duole invece riconoscere un leggero senso di amarezza con la conclusiva “King Without A Crown”, la cui efficacia viene in parte limitata da una scrittura non proprio indicata per i minuti finali di un lavoro che fa dell’epicità il suo punto di forza.
Difficilmente, nel marasma di uscite, si può etichettare quest’album come uno dei più interessanti del proprio filone, a causa anche di una formula che si rivolge principalmente agli estimatori irriducibili di determinate sonorità, ormai udite parecchie volte, e che per spiccare avrebbe necessitato di una maggiore cura per l’incisività dei singoli pezzi. Tuttavia è bene ricordare che i Magic Kingdom non sono in giro da ieri, e per questo non ci sogneremmo mai di invitarli a stravolgere il proprio stile; d’altronde anche quel “Symphony Of War” menzionato all’inizio non era certo qualcosa di originale al momento della sua uscita, eppure vi stupirebbe sapere la quantità di volte in cui quel disco è stato inserito all’interno del lettore da chi sta scrivendo queste parole, e questo perché la poca originalità veniva compensata da un songwriting coinvolgente e oltremodo fomentante, degno di un lavoro power di serie A. Caratteristica che, purtroppo, in questo “Metalmighty” ritroviamo solo in momenti isolati.