MAGNUS KARLSSON’S FREE FALL – Hunt The Flame

Pubblicato il 19/04/2023 da
voto
6.5

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Quarta opera sotto la nostrana Frontiers Records per il progetto Free Fall gestito dal guitar hero svedese Magnus Karlsson, la cui carriera con tanto di ruoli e apparizioni all’interno di una foltissima schiera di realtà musicali non ha certo bisogno di presentazioni, soprattutto tra gli appassionati di heavy/power metal, hard rock e sonorità melodiche.
Come ogni album del progetto Free Fall, si tratta di una sorta di vera e propria metal opera, in quanto ogni album vanta la presenza di un ospite dietro al microfono, col risultato di fornire ad ogni album una notevole quantità di sfaccettature, perlomeno sul versante esecutivo. Per quanto riguarda quello compositivo, sono in tanti a definirlo il classico progetto metal con sentori di AOR, rigorosamente made in Frontiers: sicuramente vero sotto determinati punti di vista, però sarebbe sbagliato vedere questa caratteristica necessariamente come un difetto, soprattutto contando alcuni brani maiuscoli cui le uscite precedenti ci hanno abituato, interpretati peraltro da figure davvero difficili da criticare in termini tecnici o timbrici.
Lo stesso Magnus come chitarrista non ha nulla da dimostrare, e anche dal punto di vista compositivo sappiamo tutti che è perfettamente in grado di confezionare una scaletta melodica e nel contempo energica, occupandosi peraltro di tutti gli strumenti, ad eccezione della batteria, affidata alle mani di un professionista come Anders Kollerfors.
I primi due brani, inclusa la title-track, non forniscono particolari spunti al di fuori di quelli che ci si aspetta da una produzione con queste caratteristiche: tanta melodia, ritmiche graffianti con tempi medi, assoli di chitarra degni di un shredder capace e tanti sfoggi vocali, anche se un songwriting un po’ troppo lineare e degli stilemi vocali anche troppo coerenti impediscono agli interpreti di ritagliarsi un posto di rilievo nella tracklist. Peraltro, non parliamo di figure esageratamente note, contando che soggetti come Alexander Strandell e Kristian Fyhr, ad esempio, sono ancora molto giovani e con un curriculum ancora tutto da valorizzare; piuttosto, ci sono molti volti cari agli amanti dell’underground melodico e/o della stessa Frontiers, tra cui Jakob Samuel (ex The Poodles), James Durbin (Santa Cruz), Michael Eriksen (Circus Maximus) e altri ancora.
In buona sostanza, abbiamo a che fare con un discreto carrozzone di performer provenienti dai più o meno sapienti ranghi della nota label partenopea, con risultati invero abbastanza positivi, ma con delle differenze tra i singoli brani relativamente poco evidenti: se ascoltiamo “You Can’t Hurt Me Anymore” e “Far From Home”, tanto per prenderne due, non sarà difficile accorgersi che le soluzioni proposte tendono a somigliarsi molto, così come la struttura propria dei singoli estratti: riff più o meno interessante in evidenza, inserti di tastiera, rallentamento, ritornellone, assolo carico di note e così via.
Già solo il lavoro precedente “We Are The Night” ci aveva deliziato con qualche sferzata in più e brani con un’identità parzialmente più netta, nonché con la partecipazione di figure accattivanti come Noora Louhimo (Battle Beast); al contrario di quest’ultimo “Hunt The Flame”, che col procedere dell’ascolto tende ad acquisire una piattezza non indifferente. Le poche derive stilistiche che è possibile scorgere sembrano essere state tarate ad hoc per permettere al cantante di turno di giocare in una sorta di comfort zone, e ne è una valida dimostrazione la spudoratissima (già dal titolo) “Following The Damned”, il cui gusto a metà tra un brano degli Iron Maiden e un pezzo orchestrale ben si presta all’esecuzione ad opera di Raphael Mendes (Icon Of Sin), considerato non a caso una sorta di clone di Bruce Dickinson.
Volendo scegliere una parentesi migliore, ci orienteremmo su “Holy Ground”, con alla voce il frontman indiano Girish Pradhan, che qualche tempo fa ci ha sbalordito anche in sede live con la sua band Girish And The Chronicles; a parer nostro, una delle promesse più interessanti tra le fila della Frontiers. Giusto per dirne un’altra, in effetti, la fase solista con chitarra pulita all’interno della conclusiva “Summoning The Stars” ci ha strappato un piacevole sussulto, facendoci chiudere l’ascolto in bellezza.
Come ulteriore tassello a pesare sulla mancanza di vivacità e varietà, ad ascolto terminato notiamo la mancanza assoluta di una presenza femminile tra i cantanti presenti, a differenza ad esempio del lavoro precedente.
Il voto per quest’album è comunque tutto sommato positivo: c’è oggettivamente qualità compositiva, anche se con pochissime idee ad emergere su una sorta di andamento trito, ridondante e tirato anche troppo per le lunghe, e i singoli performer sono tutti talentuosissimi e meritevoli di una chance, ma rimane un prodotto che odora un po’ troppo di carosello a scopo commerciale. Volendo essere severi, lo potremmo considerare un disco suonato e cantato benissimo, ma composto con poco cuore e quasi del tutto privo di anima.

TRACKLIST

  1. Hunt The Flame
  2. You Can't Hurt Me Anymore
  3. Thunder Calls
  4. Break Of Dawn
  5. Far From Home
  6. Nightbird
  7. Holy Ground
  8. Following The Damned
  9. The Lucid Dreamer
  10. Demons Of Our Time
  11. Summoning The Stars
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