6.0
- Band: MAJESTY
- Durata: 00:58:12
- Disponibile dal: 25/01/2013
- Etichetta:
- Noise Records
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Stendere la recensione del quinto full length dei true metaller teutonici Majesty è stato più difficile del previsto, e non certo per colpa della musica contenuta in esso. Almeno, non direttamente. Il fatto è che con dischi come questo “Thunder Rider”, bisogna saper scindere tra il valore oggettivo del disco, e quello più soggettivo… e così capita che su un disco che ci è piaciuto e del quale anche ora, mentre scriviamo, ci troviamo a canticchiare i ritornelli, non possiamo permetterci di dare più del ‘sei’ che vedete in calce. Il fatto è che, appunto, i Majesty sono dannatamente ascoltabili, dotati di un buon tiro nei frangenti veloci e di molto mestiere su ballad e potenti pezzi anthemici, ma mancano completamente di personalità ed idee proprie. Che già negli scorsi dischi i Majesty si ispirassero alle gesta metalliche ed eroiche dei Signori del Metallo per eccellenza, i Manowar, era risaputo, ma c’è anche da dire che non eravamo ancora arrivati ad un simile livello di saccheggio. “Thunder Rider”, a differenza del predecessore “Hellforces”, riduce ancora di più il range delle fonti di scopiazz…, ehm, ispirazione, e si staziona inamovibile per tutta la durata dei 58 minuti di disco su due singoli binari: i Manowar (guarda un po’) e gli Hammerfall. Stavolta, per dimostrare la nostra tesi, si faranno nomi e cognomi, per così dire. Come si può non sentire le melodie (spiccicate!) della strofa dell’intramontabile “Heeding The Call” nella strofa iniziale di “Metalliator”? E chi non sente più che qualche traccia dei famosi mid-tempo alla “Dreamland” in “Anthems Of Glory”? A parte i pezzi più ancorati al metal classico, che risentono ovviamente dell’influenza Manowar e della ballad “Asteria”, che sa del periodo di “Crown And The Ring” e “Heart Of Steel”, il resto è tutto power tedesco arrembante alla vecchia maniera, proprio come portato al successo dagli Hammerfall e come portato avanti ora dai Sabaton, senza ovviamente raggiungere i livelli di nessuno dei due. Ma come è quindi l’album? Be’, qui ci dobbiamo sbilanciare: tremendamente piacevole. Si, è vero, la già citata “Metalliator” assomiglia un po’ troppo a “Heeding The Call”, ma saremmo ipocriti a ritenerla brutta, visto che nel ’98 ascoltammo quella canzone almeno un miliardo di volte, e ancora adesso gira nei nostri lettori quando siamo nostalgici. Possiamo definire ‘brutte’ canzoni che ci richiamano il mitico “Kings Of Metal”, la nostra uscita preferita dei Manowar? No, non possiamo. Ecco il motivo per il quale ci troviamo in imbarazzo a giustificare un voto mediocre come il sei per un album che ci ha divertito veramente tanto. La morale di quanto scritto, di fatto, è però una sola: se siete amanti del metal di qualche tempo fa, adorate certe sonorità, e in una band non cercate originalità e idee, questo “Thunder Rider” vi divertirà un casino, e pazienza se comunque il cantante Tarek Maghary è solo l’ombra di Eric Adams e se il batterista Raddatz è super-statico (non che Columbus fosse Portnoy, intendiamoci…), il tiro di pezzi come “Warlords Of The Sea” (il pezzo migliore del lotto, fortissimo!) vi trascinerà comunque. Se invece vi piacciono altri generi, siete per l’innovazione a tutti i costi e odiate il metal classico… be’, se siete ancora qui a leggere vi ringraziamo, perché vuol dire che le nostre recensioni vi divertono davvero!