6.5
- Band: MAKE THEM SUFFER
- Durata: 00:38:39
- Disponibile dal: 08/11/2024
- Etichetta:
- Sharptone Records
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Già con il precedente “How To Survive A Funeral” avevamo parlato del disco più ‘commerciale’ della band australiana, che abbandonava le partiture ambiziose dei lavori precedenti per brani più diretti e immediati. La direzione era ormai chiara, con il salto definitivo verso un sound metalcore che i Make Them Suffer esplorano nel loro ritorno nel 2024, senza esitazioni, optando per una formula ancora più semplificata.
Un ruolo importante in questa evoluzione lo ha giocato la separazione dalla tastierista Booka Nile, allontanata a causa di accuse di violenza sessuale e sostituita nel 2022 da Alex Reade, che si è subito guadagnata il ruolo di seconda voce.
Con il suo arrivo i MTS voltano pagina, lasciandosi alle spalle il deathcore degli esordi per puntare su un sound più diretto, fatto di metalcore con influenze djent, elettronica e una forte componente melodica. Coerenti con questa nuova direzione, la band di Perth si ripresenta quasi da zero, come dimostra la scelta del self-titled. La canzone “Doomswitch”, già pubblicata nell’ottobre 2022, anticipava i tratti distintivi del nuovo corso: energia, sette corde e un contrasto netto tra le voci di Sean Harmanis e quelle di Alex, che, per timbro, linee vocali ed effetti, richiama non poco il modello della nostra Cristina Scabbia.
Sebbene l’inizio non sia dei più entusiastici, ascoltando l’album nella sua interezza bisogna ammettere che l’elettronica, che sostituisce l’elemento sinfonico con suoni sintetici, dà una spinta decisiva a una proposta lineare, groovy e, in alcuni episodi, anche sfacciata.
I singoli “Epitaph” e “Ghost of Me” si distinguono come le tracce migliori dell’album, anche se l’intero disco presenta alcuni episodi interessanti, come “Venusian Blues” con le sue influenze inedite Deftones, l’altro possibile singolo “Tether”, o “Mana God”, che cita i The Prodigy.
Il problema principale però è che, pur essendo le singole canzoni discrete, l’ascolto complessivo dell’album risulta formulare nelle strutture e ripetitivo nelle scelte poco coraggiose, con soluzioni che conducono inevitabilmente al ritornello melodico. Aggiungiamo che un pezzo molto datato come “Doomswitch” avrebbe potuto essere facilmente escluso in favore di una sintesi più efficace, e che la chiusura di “Small Town Syndrome” è decisamente debole, per completare un quadro che accresce la nostalgia verso il passato più personale ed elaborato, o, peggio ancora, avvicina i Make Them Suffer all’agguerrita concorrenza.
La transizione di genere musicale è completa a questo punto, la nuova cantante calza a pennello e ogni canzone è un potenziale singolo, ma la varietà compositiva non può essere affidata solo al commento elettronico. Dopo quattro anni di attesa, insomma, era lecito aspettarsi qualcosa di più.