8.5
- Band: MALEVOLENT CREATION
- Durata: 00:38:17
- Disponibile dal: 24/04/1991
- Etichetta:
- Roadrunner Records
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Nei primi anni ’90, si è consumata un’autentica guerra mondiale fra l’Europa e l’America nel death metal. Ribattendo colpo su colpo, la Nuclear Blast per la terra dei degli antichi romani e la Roadrunner Records per il Nuovo Mondo, hanno dato vita a un circolo vizioso che ha soddisfatto come meglio non si poteva ogni amante del metallo della morte. Alla melodia europea e alle velocità più controllate delle canzoni, da oltreoceano rispondevano con il pedale a peso pieno sul gas e con una brutalità e una pulizia sonora che erano figlie dei Morrisound Studios. Non c’era band all’epoca che non passasse per questi studi di registrazione dal tocco magico. L’impositore era Scott Burns. Dopo un paio di demo, il gruppo che ha avuto sempre come colonna portante Phil Fasciana alla chitarra e che ha scritto i suoi capolavori con Brett Hoffmann alla voce, i Malevolent Creation, pubblicò “The Ten Commandments”, e niente fu più come prima. Immaginate un volto corrugato, ombroso, solcato da cicatrici e con il digrigno fisso… è quello dell’album in questione, che Brett Hoffmann meglio non poteva rappresentare a livello vocale. Lo stile di vita dei leader del gruppo non era di quelli più tranquilli (il cantante andava e veniva dai vari penitenziari) e questo si riflesse sulla musica. Con Jon Rubin dei Monstrosity che in pratica scrisse le canzoni e poi fu allontanato (le sue parti sono state ri-registrate e letteralmente copiate) i Malevolent confezionarono un prodotto che contiene parte dei classici del gruppo. Il background musicale degli americani affonda nel thrash metal che impazza già da qualche anno in America e quindi anche “The Ten Commandments” risente di questa influenza. Nessun’altro loro album sarà così tanto thrash come quello in questione. Ma tutto questo si coniuga con la folle velocità che caratterizza il loro suono, unitamente a dei break ferali e alla loro imprevedibilità. Velocità, break assassini, richiami thrash e un dinamismo che aggiunge sempre novità a un ripetuto ascolto, questi gli elementi del suono della creazione maligna. Il tutto è pervaso – complici le accordature basse degli strumenti a corda dei Nostri – da un’aura di malignità perfetta per il concetto trattato a livello lirico. Gli americani collezionano su quest’opera dei pezzi che ancora oggi dal vivo trovano spazio fisso in scaletta, come ad esempio “Multiple Stab Wounds”. Ma sono dei classici anche l’eccellente “Remnants of Withered Decay”, “Sacrificial Annihilation” e “Premature Burial”, le quali incarnano alla perfezione il mantra death-thrash metal della band. Ancora oggi non c’è concerto che non si chiuda con la canzone che porta nome della band posta in chiusura dell’album, che inizia con un incedere possente per filare poi a tutta velocità gridando a squarciagola “No One Can Destroy This Malevolent Creation”. Ancora oggi, è così.