7.5
- Band: MANBRYNE
- Durata: 00:39:32
- Disponibile dal: 13/10/2023
- Etichetta:
- Terratur Possessions
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Tradizionali nello spirito ma moderni (o comunque al passo coi tempi) nel corpo. I Mānbryne non si smentiscono rispetto al notevole esordio “Heilsweg: O udręce ciała i tułaczce duszy” del 2021, ripresentandosi praticamente a sorpresa sul mercato con un secondo full-length che ne consolida il ruolo e le capacità all’interno del circuito black metal polacco. Una tipologia di suono che ha già probabilmente vissuto il suo apice a livello di hype e diffusione (vedi gli exploit paralleli di Mgła e Batushka), e che in questo momento sembra apprestarsi a rientrare in una dimensione puramente underground, tuttavia – come dimostrato da questa nuova raccolta di brani edita da Terratur Possessions – ancora vivo e pulsante, capace di traslarsi in affreschi musicali conturbanti e degni di attenzione, almeno per i veri appassionati di certo metallo nero dell’Est.
Rispetto al succitato debut album, i punti di contatto con i vicini di casa Blaze of Perdition si sono ulteriormente rafforzati grazie all’ingresso di Vzn alla batteria, ma va dato atto alla band di essere comunque riuscita a preservare la sua visione e la sua identità, distinguendosi dagli autori di “The Harrowing of Hearts” in virtù di un approccio più pesante e ferale – non privo di affondi death metal – e di una scrittura che, per buona parte del tempo, tende a seguire un andamento narrativo e cinematografico, con episodi lunghi, strutturati e ricchi di macro e micro parentesi che danno modo al quartetto di giocare con i chiaroscuri e gli elementi tonali per un risultato finale ora diretto e carnale, ora sobrio e avvolgente.
Muovendosi da una produzione curatissima, “Interregnum: O próbie wiary i jarzmie zwątpienia” infila quindi quaranta minuti di musica (durata perfetta che consente al disco di non trasformarsi in un mattone) spinti dalla solita, grande prova al microfono di S. e da un guitar work estremamente vivace, le cui oscillazioni fra parentesi aggressive e arie atmosferiche combaciano con un riffing che di certo non può dirsi caratteristico, ma che compensa lo sfoggio di influenze e di rimandi ai maestri degli anni Novanta/Duemila con un’efficacia a tratti sopra le righe, cui si aggiungono tutta una serie di ‘guarnizioni’ (gocciolii di synth, pennellate acustiche, ricami orchestrali, ecc.) che aiutano non poco nell’immersione totale durante l’ascolto.
Se con i Blaze of Perdition questi musicisti sembrano insomma orientati a diventare l’anello di congiunzione tra il gothic rock di Fields of the Nephilim e The Sisters of Mercy e certo black/death, nei Mānbryne il loro distillato si mantiene più conforme all’immaginario e alle atmosfere tipici del genere, calcando il piede sull’acceleratore della brutalità (basti sentire la sfuriata che anticipa il finale melodioso di “Pierwszy kamień”) senza rinunciare alla loro proverbiale eleganza compositiva. Un album che sa di solida conferma.