8.0
- Band: MANEGARM
- Durata: 00:45:07
- Disponibile dal: 26/04/19
- Etichetta:
- Napalm Records
- Distributore: Audioglobe
Spotify:
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Il nono capitolo targato Manegarm ha il merito di unire e bilanciare piuttosto bene le diverse anime della band, sia in termini di influenze che di soluzioni stilistiche. Se infatti dobbiamo dare ormai per assodato il ricorso a strutture più immediate dei brani e melodie sicuramente meno ricercate e particolari rispetto a quelle che hanno reso capolavori i primi dischi degli svedesi, è pur vero che i Manegarm del 2019 sono lontani dall’essere una band commerciale (o aspirante tale). L’opener “Sveablotet” lo mette subito in chiaro, un pezzo tirato che racchiude un ritornello melodico che si stampa in testa dal primo ascolto. Sin da subito gli elementi cari ai Nostri ci sono tutti: epicità, reminiscenze black metal, cori pregevoli e accenni di melodia scandinava. Si prosegue mantenendo alta la velocità con le sonorità che strizzano l’occhio all’heavy/speed tedesco più catchy e guerrafondaio (qualcuno ha detto Running Wild?) dell’ottima “Hervors Arv” e l’epicità di “Slaget Vid Bråvalla”, altro ritornello che vi ritroverete a cantare molto presto.
Se il trittico iniziale conquista immediatamente, il seguito non è da meno: impossibile non segnalare la malinconica “Ett Sista Farväl”, nella quale splende una voce femminile cristallina, vivo riecheggiamento dei momenti acustici più intensi dei Manegarm che furono. Il resto del lavoro segue questi binari, nessuna incredibile novità nel sound della band di Norrtaelje, ma una decisa dose di ispirazione – cosa non scontata – e di buon gusto. Il terzetto non sbaglia un colpo, riuscendo a risultare credibile nei brani più cupi come nei frangenti più folk e danzerecci. Citiamo ancora la dolcezza sognante di “Dödskvädet”, che potrebbe fungere da colonna sonora ad una serata di canti nella foresta tra elfi silvani (in un ideale mondo cinematografico privo della costante melassa hollywoodiana). La versione limitata del disco prevede due bonus track, ascoltabili su Spotify: la cover di “(Don’t Need) Religion” dei Motorhead non aggiunge nulla ma riesce comunque a non sfigurare, mentre “Day Star – Son Of Dawn” è più interessante e riporta alla luce il lato più aspro e black metal dei Nostri.
Per quel che ci riguarda si tratta di un ottimo ritorno, la dimostrazione che è ancora possibile, nel 2019, suonare dell’ottimo folk/black metal, senza dover ricorrere a stravolgimenti stilistici ma nemmeno a soluzioni trite e prive di sentimento. Se non l’avete ancora fatto, ascoltatelo.