7.5
- Band: MANEGARM
- Durata: 00:49:13
- Disponibile dal: 15/04/2022
- Etichetta:
- Napalm Records
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Avevamo lasciato gli svedesi tre anni fa, con il buonissimo “Fornaldarsagor”, e li ritroviamo oggi ancora in ottima forma. La band Erik Grawsiö e Markus Andé è tra le fondatrici di quella scena che mescola viking, folk e black metal e che porta avanti – dalla metà degli anni ‘90 – la lezione che Quorthon ha impartito al metal estremo con il cosiddetto ‘secondo corso’ dei suoi Bathory. Dai lontani tempi del debutto, quel “Nordstjärnans Tidsålder” che vide la luce ancora nel secolo scorso, sono ovviamente cambiate molte cose, e la percentuale degli ingredienti che compongono il sound dei Månegarm si è modificata; del black metal aggressivo e vorticoso degli esordi sono rimaste solo tracce sporadiche, c’è molto più spazio per la melodia e di conseguenza anche la produzione è decisamente più pulita.
Chi conosce e segue i musicisti scandinavi sa ovviamente di cosa parliamo e non resterà sorpreso dal nuovo lavoro: la formula pagana alla base di “Ynglingaättens Ode” è bene o male la stessa alla quale i musicisti di Stoccolma ci hanno abituato da qualche anno, ovvero viking/folk metal roccioso, catchy e a tratti piuttosto elaborato. È il caso della lunga “Freyrs Blod”, opener ‘coraggiosa’ con i suoi oltre dieci minuti di durata, un brano la cui melodia principale è un po’ ruffiana ma comunque inconfondibilmente Månegarm, e che si snoda attraverso fasi diverse, quelle di una narrazione tra mito e tradizione, tra accelerazioni, cori puliti e melodie sognanti. Le scarne note acustiche che aprono “Ulvhjärtat” ci provocano un leggero colpo al cuore e una momentanea fitta di malinconia per i tempi nei quali la componente folk dei ragazzi svedesi era incisiva quanto scarna ed essenziale (pensiamo allo stupendo EP acustico “Urminnes Hävd – The Forest Sessions”) ma al di là della nostalgia questo si rivela essere un ottimo pezzo. Per la verità non ci sono brutti brani, anzi; l’unica critica che si può fare alla band è quella di indugiare molto nello stesso tipo di struttura delle composizioni, che vede i tempi medi a farla da padrone e punta moltissimo sulle linee melodiche delle voci pulite maschili, decisamente in primo piano, accattivanti e facili da ricordare anche se non necessariamente banali.
Fanno eccezione la trascinante “Stridsgalten”, pezzo folk dall’incedere più sostenuto e la seguente “Auns Söner”, anch’essa più dura e spigolosa. La prima vede inoltre il contributo di Jonne Järvelä (Korpiklaani), Robse Dahn (Equilibrium) e Pär Hulkoff (Hulkoff/Raubtier) alle backing vocals. In coda troviamo un ottimo esempio di sintesi tra l’anima più estrema e quella maggiormente melodica dei Månegarm (“Vitta Vettr”), una piacevole parentesi acustica in cui voce maschile e femminile si intrecciano, cioè “Hågkomst Av Ett Liv” e una versione con il testo in inglese di “Ulvhjärtat”, che ci mostra come la lingua in uso non sia affatto un dettaglio trascurabile; fa un effetto leggermente straniante ascoltare Erik esprimersi in lingua inglese, abituati come siamo allo svedese, un idioma che, seppur ostico, crediamo dia una marcia in più alle composizioni (infatti solo l’album “Legions Of The North” è quasi interamente cantato in lingua d’Albione).
Il nostro consiglio è di dare una chance a questo dischetto sia che abbiate apprezzato il suo predecessore sia che, più in generale, siate affascinati dalle melodie nordiche e non intransigenti nei confronti di soluzioni in qualche misura più commerciali rispetto al viking/folk degli anni ‘90/primi 2000.