8.0
- Band: MANILLA ROAD
- Durata: 01:02:02
- Disponibile dal: 22/04/2008
- Etichetta:
- My Graveyard Productions
- Distributore: Masterpiece
Spotify:
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Siamo franchi, un disco come “Atlantis Rising” non rendeva affatto onore allo storico nome dei Manilla Road, ma ci mostrava una band stanca, poco ispirata e lontana dall’epic metal che abbiamo imparato ad amare su capolavori come “Crystal Logic”. E per un attimo i fan della band americana hanno temuto il peggio. Invece (e fortunatamente) siamo stati tutti smentiti. Lo squalo Mark Shelton infatti si è rimboccato le maniche e, forte di un deal con l’italiana My Graveyard Productions, con grande sorpresa generale si è presentato a tutti noi con un disco degno dei migliori Manilla Road. “Voyager” è un affascinante concept album su un drappello di vichinghi in fuga dalla loro patria dove la religione cristiana stava prendendo sempre più piede e veniva imposta a discapito dei culti pagani. “Tomb Of The Serpent King/Butchers Of The Sea” in oltre otto minuti riassumono alla perfezione il concetto di epic metal di Shelton e compagnia, la canzone si assesta su tempi molto lenti, lugubri e maestosi in cui la voce dello squalo, sempre nasale e profonda, delinea le ancestrali atmosfere del brano. Avete capito bene, lo storico cantante dei Manilla Road, a causa della defezione (soltanto temporanea) di Hellroadie, ha ripreso il ruolo di lead voice. Il tempo purtroppo ha lasciato i segni sull’ugola di Mark, che a volte suona stanca e consumata, pur non perdendo la fierezza originale. “Blood Eagle” viene introdotta da un caratteristico organo e sconfina più e più volte in lidi doom metal. La conclusiva e struggente “Totentaz (The Dance Of Death)”, dal cantato sulfureo e growl, chiude il sipario su un disco che rilancia alla grande i Manilla Road. Non aspettatevi sfuriate di doppia cassa ed assoli funambolici, l’epic metal primordiale è tutt’altra cosa, una commistione tra atmosfere e tempi vicini doom, ma dall’impronta epica e maestosa. L’unico neo di “Voyager” è una produzione assolutamente non all’altezza: va bene l’intenzione di mantenere un sound old fashioned, ma al giorno d’oggi suoni scarni di questo tipo sono difficili da accettare. Un grande ritorno, comunque, che ci fa ben sperare per il futuro dei Manilla Road, un culto che non muore mai. Up The Hammers!