9.0
- Band: MANOWAR
- Durata: 00:45:26
- Disponibile dal: 01/07/1983
- Etichetta:
- Megaforce Records
- Distributore: Sony
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Si dice che il secondo disco di una band sia spesso il più difficile, mancando dell’istintività che caratterizza i debut e della maturità che si raggiunge con le conferme che derivano dal poter contare su una carriera consolidata. Questo non è sicuramente il caso dei Manowar. Anzi, per molti versi, “Into Glory Ride” è il disco che più ha definito il sound della band americana; il precedente “Battle Hymns” era stato caratterizzato dall’essere, in pratica, due dischi diversi, con un lato A più smaccatamente classic metal ed un lato B ricco delle connotazioni epiche e wagneriane che, da sempre, costituiscono il cuore di DeMaio e soci. Su questa seconda uscita, invece, i Manowar si dedicano quasi esclusivamente alla componente epic, sorretti dall’arrivo di Scott Columbus dietro le pelli, un batterista che con la sua pesantezza granitica contribuirà a forgiare il sound della band. Si parte con “Warlord” che, in effetti, è l’unico pezzo a ricordare il precedente lavoro (o almeno il suo, già citato, lato A), anche se abbandona un certo approccio “sociale”, per concentrarsi su un elogio della vita da biker. Ma è con “Secret Of Steel” che la musica cambia davvero: i tempi rallentano, le atmosfere si fanno più cupe, basso e chitarra si intrecciano in un modo inedito per la band e la batteria cambia totalmente registro. Su tutto la voce di Eric Adams, qua ancora in possesso di tutta la sua impressionante estensione vocale. Il drumming monolitico ed il basso iper-melodico creano una sezione ritmica completamente inedita, capace di coniugare mid-tempo pesantissimi e melodie evocative ed in grado di imprimersi nella mente al primo ascolto. Si prosegue sulla falsariga con “Gloves Of Metal”: anche nel più classico degli anthem metal, però, i Manowar mantengono un approccio musicale cadenzato ed è ancora la batteria di Columbus a fare da traino. “Gates Of Valhalla”, primo pezzo dei Manowar a trattare apertamente di mitologia nordica, si apre con un arpeggio struggente e la maestosa voce di Eric Adams che, in modo quasi malinconico, ci trasmette la visione cupa e poetica dell’aldilà nordico; poi il pezzo cambia registro e diventa più aggressivo, veniamo trasportati nel Valhalla, guerrieri immortali pronti a prendere il nostro posto a fianco di Odino. Ancora una volta è la sezione ritmica a dare un incedere incalzante e marziale, che raggiunge il suo culmine quando viene ripetuta la prima strofa, ma con una base incisiva, invece che con l’arpeggio, per poi sfociare nell’assolo di Ross The Boss. Il finale è lasciato ad un classico dei Manowar: DeMaio e Adams danno libero sfogo alle loro doti e chiudono la prima metà del disco. Il lato B ricomincia subito con “Hatred”, forse uno dei pezzi più lenti dei Manowar che, ancora una volta, ci dimostrano come potenza ed epicità non hanno certo bisogno di velocità e di come la band sia in grado di mischiare a tutto ciò anche una vena cupa. Il pezzo ha uno degli interludi più celebri della carriera dei kings of metal, costituito da una melodia tra il folk ed il medievaleggiante, qualcosa di abbastanza fuori dal comune per il gruppo ma che -a suo tempo- decretò un notevole “successo” per il pezzo in questione. Pezzo, comunque, molto atipico, sopratutto per una certa preponderanza delle parti strumentali rispetto a quelle cantate e con una voce dai regimi bassi e, spesso, simile quasi ad un recitativo; probabilmente la composizione più simile, in tutta la discografia dei Manowar, è “Burning” su “The Triumph Of Steel”, anche se molto diversa per certi aspetti. Fermandoci qua, avremmo già un ottimo disco, ma ci attendono ancora i due capolavori di “Into Glory Ride”. “Revelation (Death’s Angel)” si apre con uno strepitoso Eric Adams che, prima del cambio di tempo del pezzo, ci dà una prova incredibile della sua estensione vocale, passando continuamente da note basse a note alte; i Manowar ritrovano velocità nella loro rievocazione dell’apocalisse. Il brano è rutilante, potente, intriso di riferimenti classici, Adams, DeMaio, Columbus e Ross The Boss sono in un totale stato di grazia: niente è minimamente fuori posto, dalle progressioni agli arrangiamenti, passando per le ripartenze, ognuno mette il suo meglio, dando vita ad uno di quei pezzi che fanno parte dell’Olimpo dell’heavy metal. Ecco l’apice del disco? Ce lo chiediamo, mentre una voce dà il via a “March For Revenge (By The Soldiers Of Death)”: la batteria incalza fino all’esplodere della voce “ride up from hell”. Da subito la canzone si rivela un misto di rabbia e dolore, una marcia per la vendetta, come vuole il titolo; una descrizione di un raid e di un campo di battaglia, di una tale violenza lirica e musicale, da trasportarci lì dove l’acciaio si scontra con l’acciaio e le teste dei nemici torreggiano sulle lance. Il cuore della canzone è l’addio al compagno caduto ed il vero incedere della marcia, con la voce che cresce nel ripetere “for when we march, your sword rides with me”, creando con la batteria un climax di cupa rabbia che, dopo l’assolo, esplode nella sfida al nemico. E’ ancora la voce di Adams che, in un crescendo verso l’alto, chiude canzone e disco. Non vogliamo parlare dei Manowar, band che si ama o si odia, della loro immagine e dei loro proclami; non vogliamo eleggere “Into Glory Ride” a miglior disco della band e non vogliamo soffermarci su una delle copertine più brutte della storia dell’heavy metal. Questo è semplicemente un disco strepitoso, carico di sentimento, di potenza, di toni epici e di visioni evocative, un disco uscito nel 1983, prima che i fan dei Manowar sollevassero le braccia a martello e che i loro detrattori irridessero la crociata della band contro il “false metal”; c’è, in embrione, tutto quello che porterà a giudizi molto contrastanti sul gruppo, ma davanti ad un simile capolavoro musicale questi argomenti restano del tutto in secondo piano. Lasciateci, però, spendere qualche parola per il compianto Scott Columbus: “Into Glory Ride” è il primo disco dei Manowar dove suonò (fatta eccezione per “Defender”, singolo del 1983 che, benché ufficiale, è più un collector’s item che altro), contribuendo a creare il sound della band con un stile incentrato sulla potenza e sulla ripetitività di pattern lineari e marziali, perfettamente adatti al sound Manowariano. Vogliamo farlo, perché si tende a ricordare Columbus più per le circostanze non molto chiare riguardanti la sua morte, piuttosto che per il suo ruolo imprescindibile alle pelli. Comunque sia, “Into Glory Ride” segnò il vero e proprio inizio dei Manowar e della loro carriera costituita da (molti) dischi eccezionali e da (poche) cadute che, comunque, non hanno intaccato l’amore incondizionato dei fan per quella che, piaccia o no, è una delle band più rappresentative dell’intero genere. Death to false metal !