9.5
- Band: MANOWAR
- Durata: 00:48:01
- Disponibile dal: 18/11/1988
- Etichetta:
- Atlantic Records
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La prima parte della carriera dei Manowar è qualcosa che, visto a posteriori, rasenta l’incredibile. Joey DeMaio e soci, in appena tre anni danno alle stampe quattro veri e propri capolavori, affermandosi come una delle realtà più influenti di un panorama che, negli anni Ottanta, era una vera e propria fucina di metallo incandescente. Ciò che mancava alla band per fare il definitivo salto nell’Olimpo dei più grandi era solo una cosa, il successo di un album in grado di raggiungere un pubblico più ampio, pur senza rinunciare alla loro credibilità di difensori del Vero Metallo. In parte i Manowar ci avevano provato nel 1987 con “Fighting The World”, ma l’obiettivo non era stato pienamente raggiunto e l’album alternava dei momenti di epico splendore ad altri piuttosto insulsi.
Per fortuna ai Manowar basta pochissimo tempo per aggiustare il tiro ed il nuovo album, “Kings Of Metal”, pubblicato nel 1988, raggiunge quel miracoloso equilibrio che serviva alla band e diventa, in breve tempo, il loro album più amato. Le canzoni, infatti, riescono a mantenere immutata l’atmosfera epica, guerresca e sfrontata che tutti amiamo e al tempo stesso abbracciare una vena melodica irresistibile, fatta di inni da cantare a squarciagola, con le braccia alzate al cielo nell’iconico segno del martello.
L’esempio perfetto, in questo senso, è proprio la titletrack: una canzone autocelebrativa, in cui i Manowar si incoronano Re del Metal, registrando già in studio, a priori, i cori del pubblico a confermare il loro status regale. Detta così, verrebbe da pensare ad una pura pacchianata, invece funziona, eccome se funziona. E quando il rito si ripropone dal vivo, noi non ci fermiamo a ragionare se sia vero o meno che “the other bands play / Manowar kill“. In quel momento è così, punto, perchè la loro aura di invincibilità e assoluta. Prendete tutto ciò, ed estendetelo ad una manciata di capolavori totali e vedrete che funziona sempre: come nella calma solenne dell’incipit di “Hail And Kill” seguito dalla furia omicida della battaglia, in cui rendere onore e uccidere, ancora una volta in uno strano equilibrio delle parti; oppure “Heart Of Steel”, che musicalmente strizza l’occhio alla malinconia delle ballad, ma poi ribadisce che saranno loro, gli altri, ad inginocchiarsi, perchè il nostro cuore d’acciaio è troppo duro da spezzare. Lo stesso possiamo dire per “Blood Of The Kings”, dove i titoli delle precedenti canzoni dei Manowar si uniscono in un vessillo di guerra, attorno al quale si stringono i re con le legioni di fedeli guerrieri; per non parlare, poi, del culmine di “The Crown And The Ring”, regale e solenne cattedrale consacrata al culto dei quattro sovrani. Siamo così fomentati nell’ascolto di questo disco, da riuscire perfino a farci piacere una fiaba della buonanotte, quattro minuti e mezzo di parlato che, fatto da chiunque altro, sarebbe al limite dell’imbarazzo e invece, ancora una volta, siamo lì, mano sul cuore a recitare la preghiera del guerriero.
Tutto ciò è possibile grazie ad una band che, fino a questo momento, vive in uno stato di grazia assoluta: il leader Joey DeMaio scrive gran parte delle canzoni con un’ispirazione invidiabile, ben supportato dalla chitarra di Ross The Boss che firma in questo disco una delle sue performance più riuscite. Scott Columbus, con il suo stile marziale, è perfetto per la musica del disco, e la voce di Eric Adams è semplicemente fuori scala, per potenza ed interpretazione. Sarebbe veramente un disco senza difetti, se non fosse per un paio di canzoni leggermente fuori fuoco: la prima è “Kingdom Come”, che non riesce a mantenere la stessa qualità del resto dell’album, pur difendendosi bene; mentre la seconda è “Pleasure Slave”, il cui sessismo è stato oggetto di critiche già negli anni Ottanta e, ascoltata oggi, appare ancora più anacronistica.
I Manowar grazie a “Kings Of Metal” diventano a tutti gli effetti una delle più grandi band metal del loro tempo, raggiungendo una vetta che da quel momento in poi non riusciranno mai più ad eguagliare, complice anche il licenziamento di un fuoriclasse come Ross The Boss. Ci saranno altri grandi lavori nella storia dei Manowar, certo, a cui, purtroppo, farà seguito un’inesorabile declino che li rende oggi una sorta di caricatura dei loro stessi personaggi. Nel 1988, però, erano veramente i re del metal e questo disco resterà per sempre a suggellarne la gloria.