8.0
- Band: MANOWAR
- Durata:
- Disponibile dal: //2002
- Distributore: Audioglobe
Non c’è compito più difficile per me di quello che mi accingo a compiere. Recensire un disco dei Manowar a molti di voi potrà anche sembrare una cosa semplice, ma per uno che 10 anni fa proprio con i Manowar accennava al suo primo headbanging è una missione veramente ardua. Arduo è cercare di liberare la mente da tutte le emozioni che DeMaio e soci mi hanno regalato, nel tentativo di fornire un giudizio il più imparziale possibile a chi legge. Ed è talmente arduo che non ho neppure intenzione di provarci. I Manowar o si amano o si odiano, e questo è ormai chiaro a tutti, pertanto è solamente ai loro fan che mi rivolgo (o a chi in futuro potrà diventarlo), preferendo tacere su chi ha sempre tentato vanamente di sminuirne il valore, sparando le classiche palline di carta con lo sputo contro una corazzata. Ed eccolo qui, il promotape di “Warriors Of The World”, finalmente sulla mia scrivania (ed istantaneamente sparato nel mio stereo) dopo tanti anni di lunga attesa. Sei anni per l’esattezza, sei anni durante i quali sono cambiate per me talmente tante cose che il mondo non pare neanche più lo stesso – ma i Manowar no, loro non sono affatto cambiati. Ed è questa la prima e fondamentale sensazione che proverete ascoltando l’opener “Call To Arms”. Il tempo è cadenzato, l’aperta iniziale di Adams raggelante, il richiamo a “Blood Of My Enemies” palese. Una rocciosa marcia trionfale apre le piste di un album che si preannuncia guerriero ed epico al 100%. La successiva “Fight For Freedom” smorza per un attimo questa solennità, risultando a conti fatti il pezzo più “debole” dell’album. Lo standard del disco però si riprende subito con l’arrivo del “Nessun Dorma” – sentire Eric Adams che canta in italiano (neppure troppo stentato) è un’emozione unica, e la maestosità della splendida aria pucciniana è rivisitata in pieno Manowar-style. Tocca poi a “Swords In The Wind”, che già dal titolo lascia presagire qualcosa di speciale: dopo un brevissimo interludio orchestrale, iniziano infatti a scorrere le note di quella che mi sento di giudicare come una delle MIGLIORI canzoni mai scritte dai Manowar. L’epicità di “Defender”, la malinconia di “Master Of The Wind”, la potenza di “Heart Of Steel” – tutti questi fattori confluiscono in un unico brano, tanto da lasciare con i brividi a fior di pelle, da far sgorgare una lacrima a tutti i cuori guerrieri più duri e arcigni. “An American Trilogy” è uno splendido trittico di canti tradizionali americani ovviamente rivisti in chiave metal, una vera dichiarazione d’amore allo spirito americano così duramente colpito dopo le ultime tragiche vicende, mentre “The March” è un riuscito interludio orchestrale, carico di atmosfera e vibrante di tensione, da proporre come colonna sonora per il prossimo Conan 3. Dopo il granitico mid-tempo della title track (su cui non mi dilungherò, avendola già recensita come singolo), ecco arrivare il trio conclusivo: ebbene, se il disco finora si era mosso su tempi piuttosto cadenzati, i nostri ci hanno riservato per la conclusione una vera esplosione di violenza! Scott Columbus schiaccia a fondo sulla doppia cassa, Joey DeMaio e Karl Logan menano come due forsennati e Eric Adams è più cattivo che mai, al punto da ringhiare come un cane rabbioso nella conclusione di “House of Death”! Che dire… l’opera è completa, il ritorno perentorio, la vendetta compiuta. Forse l’avrò già scritto, ma vale la pena di ripeterlo – Other bands play, Manowar kill!