7.5
- Band: MANTAR
- Durata: 00:41:13
- Disponibile dal: 15/07/2022
- Etichetta:
- Metal Blade Records
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Il breve disco di cover “Grungetown Hooligans II” ha funto da piccolo spartiacque nella carriera dei Mantar; è servito a riscoprire le radici, la mescolanza di generi che aveva sedotto in gioventù il duo di Amburgo e l’aveva spinto a intraprendere una carriera musicale di un certo tipo. Così, dopo un progressivo indurimento e assestamento del suono in una forma black-sludge-hardcore metal scorticante e intimidatoria, velata di darkwave e immediatamente riconoscibile, Hanno ed Erinc hanno preferito compiere qualche percettibile passo indietro. Divenuti fin troppo ‘estremi’, a detta loro, ecco che sono andati a riprendere un’azione rock ad ampio spettro, un songwriting meno improntato all’oppressione e all’attacco. Diluito il nero dilagante degli ultimi due album, riaffiorato uno spirito punk verace e privo di grandi sovrastrutture, i Mantar sono pervenuti allora a questo quarto album, “Pain Is Forever And This Is The End”, il primo per Metal Blade una volta terminato il contratto con Nuclear Blast.
Chi ha apprezzato le varie cover di L7, Sonic Youth, Mazzy Star edite due anni fa non sarà quindi sorpreso del nuovo involucro nel quale il Mantar-sound è contenuto, mentre chi aveva gradito soprattutto “Ode To The Flame” e “The Modern Art Of Setting Ablaze” inizialmente storcerà un poco il naso. Il suono si è in parte asciugato di asperità e pesantezza, riavvicinandosi all’eclettismo del folgorante esordio “Death By Burning”, col quale vi sono diverse analogie. Per quanto abbiamo gradito i dischi editi per Nuclear Blast, risentire i Mantar in una versione più libera, ariosa e rockeggiante – prendete la definizione in modo ampio e poco circostanziato – ci fa decisamente piacere. Fioccano allora piccole hit underground, con la chitarra di Hanno a soffiar via il marciume e procreare una fitta serie di effetti e riff che puzzano di alternative rock novantiano, punk, noise, in una forma relativamente leggera e con un suono quasi ‘indie’ calzante a pennello a queste nuove composizioni. Anche Erinc non si tira indietro nell’ampliare il suo registro vocale; non che si metta a cantare pulito o inventarsi chissà quale diavoleria, solo che l’interpretazione appare più sentita e verace, le metriche più varie e l’approccio vagamente diversificato da un brano all’altro.
Qua c’è materiale ottimo per lanciarsi in un feroce party nichilista, alla maniera degli Impaled Nazarene più caciaroni, e se pensate che sia una definizione da poco, è perché non vi siete mai goduti gli squinternati finlandesi dal vivo! Ritornando ai Mantar, quel pizzico di manierismo affiorato in “The Modern Art Of Setting Ablaze” scompare di fronte alle botte di groove di questo nuovo disco, che nelle scarne ritmiche di batteria ha biglietti da visita tanto semplici quanto efficaci e nell’alone darkwave della chitarra quel pizzico di atmosfera che non fa male. Tenebrosi, crepitanti, feroci ma anche rolleggianti, coinvolgenti e salaci, i Mantar vanno dritti al punto in ogni brano e fanno sempre centro, con continuità lodevole dall’opener “Egoisto” fino alla chiusura di “Odysseus”. L’una per l’altra le dieci tracce sono sia anthem sguaiati da cantare sotto il palco, sia piccoli saggi di come si possano concepire pezzi interessanti e longevi ricorrendo a una manciata di note, sintomo che il duo sa maneggiare la scrittura della musica senza dover attingere ad artifizi o soluzioni fumosi. Con un titolo del genere avevamo attese non proprio basse, ma ci accorgiamo che i Mantar hanno superato le nostre aspettative. Musica al massimo e via al divertimento, i Mantar non vi annoieranno di certo!