7.5
- Band: MANTRIC
- Durata: 00:53:45
- Disponibile dal: 24/04/2020
- Etichetta:
- Solid State Records
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I Mantric nascono nel 2007, quando tre membri della progressive death metal band norvegese Extol decidono di abbandonare i compagni per dedicarsi ad una nuova avventura. Due gli album pubblicati nella loro finora non prolifica carriera: il più canonico “The Descent” del 2010 portava avanti il discorso intrapreso con il gruppo precedente, rimanendo legato, pur con qualche leggera variazione, ad un death metal piuttosto tecnico e molto melodico; “Sin” del 2015, invece, iniziava un nuovo percorso, virando verso un industrial semplice e senza troppi fronzoli, ma lo faceva in un modo ancora un po’ confuso e sfocato. Dopo cinque anni i Mantric tornano con il nuovo “False Negative”, che prosegue la sperimentazione del disco che lo precedeva, questa volta non tentando di cambiare drasticamente rotta, ma puntando piuttosto a mettere a fuoco ciò che non era riuscito fino in fondo. Il risultato di questa ricerca è sicuramente un album di livello superiore rispetto a quanto fatto un lustro fa; tutto sembra essere al proprio posto e notevole è il passo in avanti compiuto sotto ogni punto di vista: scrittura dei pezzi, pulizia e potenza dei suoni, ricchezza degli arrangiamenti, incisività del cantato. I norvegesi probabilmente in questi anni hanno ascoltato in maniera massiccia band quali Nine Inch Nails, Therapy? o Killing Joke, rielaborandoli poi in modo personale. La base industrial ricavata da questi ingombranti ascendenti è la costante di tutto il disco e in generale la scelta è stata quella di alleggerire le strutture prog del passato, privilegiando orecchiabilità e freschezza; in quest’ottica può essere visto anche l’utilizzo della voce pulita in modo molto più continuo rispetto a prima. Ciò che ne risulta è un prodotto scorrevole e immediato, ma anche ricco di dettagli che vengono apprezzati ascolto dopo ascolto, grazie alla perizia tecnica, all’ecletticità e alla cultura musicale dei musicisti coinvolti. Ogni brano ha una propria identità ed è impreziosito da influenze svariate ed eterogenee: “Blame The Beggar” mette in mostra derive new wave che suonano molto anni ’80; “Norwegian Dastard” segue un andamento jazzato e sembra quasi un pezzo pop nella sua leggerezza; “Darling Demon” parte con effetti che si possono definire noise e poi esplode avvicinandosi (ma non raggiungendo) all’aggressività di certe sonorità ormai lontane di metal estremo, rimanendo comunque più in zona Godflesh rispetto al technical death-thrash metal al quale i ragazzi di Oslo ci avevano abituato; la conclusiva “Starmonger”, infine, potrebbe essere un pezzo scritto da Trent Reznor nel periodo di “The Fragile”. Al terzo tentativo, i Mantric sembrano aver imboccato una strada personale, realizzando un album solido, centrato e coraggioso per alcune scelte adottate, in cui ogni singola nota è curata in modo maniacale, e sono ora vicinissimi a quel salto di qualità che ci si deve aspettare da musicisti con il loro pedigree.