9.0
- Band: MARILLION
- Durata: 01:08:34
- Disponibile dal: 23/09/2016
- Etichetta:
- earMusic
- Distributore: Edel
Spotify:
Apple Music non ancora disponibile
Suoni che non possono essere ricreati. Il sublime manifesto concettuale, intento a fotografare in maniera nitida i contenuti inclusi nel penultimo studio album dei Marillion, si è rivelato un evidente presagio per l’attuale svolta intrapresa dall’illuminata compagine britannica. Sin dall’inquietante titolo inciso al di sopra di un brillante sfondo dorato, Steve Hogarth e soci firmano un lavoro dal marcato gusto introspettivo, caratterizzato da un elegante lirismo provocatorio e da una tanto urgente quanto rara intelligenza espressiva. “FEAR (Fuck Everyone And Run)” si palesa ai nostri timpani come un’opera di pregevole spessore artistico, composta da cinque episodi suddivisi in numerosi sottocapitoli, che permettono di immergerci fino al midollo in questa straordinaria esperienza uditiva. Soltanto attraverso ripetuti ascolti in cuffia, preferibilmente avvolti da un silenzio pressoché assoluto, riusciamo a cogliere una quantità incredibile di sfumature coniate da questi cinque protagonisti in continua evoluzione. Gli standard della musica progressiva tradizionale vengono inesorabilmente abbattuti, attraverso un vellutato costrutto sonoro che si pone come un’autorevole negazione del rock. Le angoscianti lezioni impartite dai Pink Floyd nel cupo “Animals” e dai Marillion stessi nel monumentale “Brave” vengono attualizzate a dovere nelle prime due sezioni dell’immaginifica “El Dorado”. Spicca austero un basso vibrante e plettrato, avvolto da pulsioni industriali, su cui si staglia la voce rauca e passionale di un Hogarth tremendamente incisivo, capace di far librare in seguito le sue corde vocali nel malinconico sfogo dell’intensa title track. “Living In Fear”, di primo acchito, è una ballata sognante che strizza l’occhio ai Keane dell’ottimo “Hopes And Fears”. Riservandole però una maggiore attenzione, rimaniamo sorpresi dalle trame liquide disegnate dalle tastiere e dalle chitarre, che preludono al ritorno ad una celebre infanzia mai dimenticata. Il finale di “The Leavers” viene dominato da un’impetuosa progressione musicale, dalla quale spicca un emozionante assolo alle chitarre magnificato da Steve Rothery in preda al Sacro Furore. Il palese pessimismo di “White Paper” viene caratterizzato da una toccante melodia portante, orchestrata ai tasti d’avorio, che si evolve in un sinuoso groove capace di mozzare il fiato. Il velenoso sarcasmo, urlato a pieni polmoni da un Hogarth disilluso in “The New Kings”, ci accompagna per mano verso un finale tutt’altro che rassicurante, magnificato da una coesione strumentale difficilmente descrivibile a parole. Capolavoro, senza se e senza ma.