8.0
- Band: MARILLION
- Durata: 01:14:19
- Disponibile dal: 17/09/2012
- Etichetta:
- earMusic
- Distributore: Edel
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Tra l’enigmatico e l’ambizioso, il titolo della diciassettesima storia che ci raccontano i Marillion, band attiva dall’ormai lontano 1979, che in verità non ha mai sviluppato sentieri metallici in carriera, ma ha saputo scrivere pagine fondamentali della scena progressive, influenzando e spianando la strada a decine di colleghi. Nel corso di quasi trent’anni la band britannica ha realizzato almeno una manciata di capolavori e questo “Sounds That Can’t Be Made” sembra molto vicino ai picchi qualitativi dell’era “h”, pur sfuggendo a qualsiasi parallelismo col passato in termini di creatività. Era dai tempi di “Marbles” (siamo nel 2004), che non sentivamo una continuità tale in termini di songwriting e le emozioni scorrono fluide, forse perché il ricorrente tema dell’amore ispira una band armoniosa sulla quale emerge inesorabile il talento del singer Steve Hogarth (“h”, appunto, per i fan ), talmente espressivo da rendere interessante anche il refrain più anonimo. L’apertura è affidata al pezzo più difficile e tipicamente progressivo dell’opera: “Gaza” conquista dopo numerosi ascolti investendovi dapprima con il ricorrente motivetto orientaleggiante della prima parte e avvolgendovi successivamente in un connubio di contrasti in cui la band anglosassone, oltre a bellissimi stacchi dal retrogusto soul, ci sorprende con un riffing aggressivo e l’abbondante uso dell’effettistica sulle voci. Neanche il tempo di rifiatare e la titletrack prenota un posto fra i classici del futuro, con un andamento marziale, linee vocali favolose e un finale a sorpresa aperto da un palleggio a due tra il tastierista Mark Kelly e l’inossidabile Steve Rothery alla chitarra, sulla quale s’inserisce l’immancabile Hogarth. Tra le perle più brillanti vanno citati anche il primo singolo “Power”, graziato da un bellissimo testo, e l’ottima “Montreal”, lunga traccia di prog rock sopraffino in cui l’amore per la città canadese si sovrappone a quello per una donna, fino a fondersi completamente. L’eleganza di “Pour My Love”, il rock prima intimo e poi vibrante ascoltato rispettivamente in “Invisible Ink” e “Lucky Man” e l’emozionante “The Sky Above The Rain” nel finale, suggellano infine un disco di spessore in cui i Marillion, miscelando in forma attuale gli ingredienti che ne hanno caratterizzato la gloriosa carriera, dimostrano di poter recitare nuovamente un ruolo di primo piano all’interno della scena prog mondiale.