7.0
- Band: MARIONETTE
- Durata: 00:46:06
- Disponibile dal: 05/12/2011
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‘Prestate attenzione e non dimenticate questo giorno, perché qualcosa di terrificante ma al contempo meraviglioso è appena venuto alla luce, e tra qualche anno potrete affermare con orgoglio di essere stati tra i primi ad essersene resi conto‘. Era il 2008 quando, intervistati dopo l’uscita del promettente debutto “Spite”, le Marionette si congedavano così, in modo sicuramente pleonastico ma lasciandoci comunque un pizzico di curiosità frammista a speranza, vista la bontà del materiale proposto. Se il successivo “Enemies”, uscito l’anno dopo, ha confermato pregi e difetti del suoi predecessore, molta era la curiosità di chi scrive per l’uscita di “Nerve”, terzo album che – finalmente! – mischia un po’ le carte in tavola, senza però pescare il poker d’assi. L’ossatura della loro proposta resta saldamente ancorata al classico melodeath ma, lo si intuisce già dall’opener “From Marionette With Love”, c’è ben altro; riffing e drumming rammsteniani, un uso sempre più massiccio dell’elettronica (a metà tra Raunchy ed Enter Shikari) e un cantato, quello sì, rimasto quasi sempre fedele ai dettami swedish death sono le architravi su cui si regge il nuovo teatrino delle Marionette. Le stesse ritmiche elettro-pestone muovono anche le successive “Stand In Line” e “Act Of Violence”, la cui maggiore aggressività viene stemperata dall’utilizzo delle clean vocals nei chorus, mentre la prima vera sorpresa arriva con “Remember Your Name”, un mid-tempo dall’andamento ipnotico e dal pathos tragico in cui la scena è appannaggio dei ricchi arrangiamenti orchestrali a discapito delle chitarre. Dopo la partenza col botto, il resto della tracklist non sempre si mantiene sugli stessi livelli: se durante l’ascolto delle più dirette “The Last” e “När Du Ruttnar Bort” è consigliato l’uso della crema idratante, visto il concreto rischio di spellarsi le mani, al contrario le stesse mani saranno impegnate a smanettare sul tasto skip con “Smile or Die Trying”, del tutto avulsa rispetto al mood del disco, e a grattarsi il capo di fronte alle fin troppo sperimentali “Something Forgotten”, “Brand New Day” “Lights Out”, i cui buoni spunti sembrano perdersi in una ricerca di personalità spinta a volte fino all’eccesso. Tornando all’incipit, il fatidico traguardo del terzo disco ci consegna una band ancora in cerca di una propria identità, ma comunque in grado di stuzzicare la curiosità di chi segue con interesse la ricombinazione genetica del metallo svedese.