7.5
- Band: MARTY FRIEDMAN
- Durata: 00:48:46
- Disponibile dal: 27/05/2014
- Etichetta:
- Prosthetic Records
- Distributore: Audioglobe
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‘Torna a casa Marty’. Non è il titolo di una nuova serie televisiva con protagonista un collie chiamato Marty, ma è l’esortazione che molti fan del riccioluto chitarrista di origini statunitense rivolgevano lui in maniera accorata, all’indomani della sua decisione di abbandonare i lidi metal e cimentarsi con le straniere sonorità J-Pop e J-Rock degli ultimi due album. Pare che Marty abbia deciso di ascoltare l’esortazione, perchè, lo diciamo subito, questo “Inferno” è una vera mazzata sui denti. Il disco metal che non ci aspettavamo: violento, diretto, molto più ‘estremo’ di quanto avessimo anche solo pensato di immaginare. Il genere di pertinenza è forse un po’ diverso dal sound originale del Nostro: il thrash metal di “Rust in Piece” è infatti presente, ma non è l’unico, vivido, colore che compone la tavolozza attuale dell’artista. Heavy tecnico, modern metal, qualche nascosto influsso ‘core e anche metal estremo quasi al limite con il death sono infatti sfumature presenti in quantità anche più alte, che contibuiscono a dipingerci l’aspetto di un disco assolutamente inatteso dalla penna dell’ex Megadeth. “Inferno”, nonostante qualche difetto se lo porti dietro, ha il grande pregio di riuscire a colpirci in ogni passaggio, senza che ci siano tracce che risultino anonime o delle quali non ci siamo fatti un idea precisa. Il disco si apre con l’aggressiva title-track, virulento strumentale che ci stende già dai primi secondi dopo il breve intro, quando le dita del nostro cominciano a tracciare solchi sul manico della chitarra a velocità supersonica. La ritmiche sotto i vorticosi assoli sono classicamente thrash, con un secco palm muting a seguire una doppia cassa assolutamente sparata. Non meno pesante è la successiva “Resin”, che inizia con un lugubre arpeggio che viene mano a mano inspessito da ritmiche sempre più corpose. Il blast-beat ci colpisce in maniera inattesa al secondo minuto, e Friedman ancora una volta mette in mostra velocità da Formula 1, su ritmiche mai prevedibili. La coppia di chitarristi messicana Rodrigo Y Gabriela accompagnano Marty in “Wicked Panacea” con le loro chitarre flamencate, e qui possiamo apprezzare assoli più accessibili, almeno fino a quando iniezioni di bruciante metallo non cambiano bruscamente il tiro della canzone. Non rallenta nemmeno “Steroidhead”, ancora segnata da brusche accelerazioni in blast-beat e da assoli al fulmicotone. La voce di Danko Jones ci stupisce con “I Can’t rellax”, brano di ruvido rock moderno bene interpretato dal vocalist canadese. Stupisce qui la scelta di Marty di abbandonare completamente il proprio stile solistico per concentrarsi su un pezzo ancora indubbiamente violento ma esclusivamente ritmico. Jorgen Munkeby, musicista jazz, accompagna il nostro nella folle “Meat Hook” con diversi strumenti, tra cui un sax e un pianoforte, firmando un pezzo all’insegna dell’imprevedibilità più totale. “Hyperdoom” è la breve introduzione a “Sociopaths”, brano che vede la collaborazione dell’extreme metaller David Davidson. Anche questo brano è cantato, con un growl tanto violento quanto inaspettato, che inietta nel brano chiare traccie di metalcore. “Lycanthrope” può sembrare un brano dei Children Of Bodom, con tanto di partecipazione di Alexi Laiho, che duetta con Danko Jones a livello vocale e gioca con le armonizzazioni con un Friedman sempre più potente. Gregg Bissonette e Tony Franklin sono i nomi di prestigio degli anni passati, che firmano un brano meno d’impatto ma sicuramente dalle bellissime suggestioni, tutto prima del capolavoro finale a titolo “Horrors”, brano composto a quattro mani con l’eroe Jason Becker, bloccato da anni su un letto d’ospedale a causa di una terribile malattia neurodegenerativa. Il reprise di “Inferno” chiude con le sue dissonanze l’album, lasciandoci con le orecchie che fumano e le ossa rotte. Che ritorno!