7.0
- Band: MASTER BOOT RECORD
- Durata: 01:08:32
- Disponibile dal: 20/03/2020
- Etichetta:
- Metal Blade Records
- Distributore: Audioglobe
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Anche Metal Blade si getta nella mischia della synthwave, a testimonianza di come il genere sia ormai più che sdoganato presso il pubblico metal, e lo fa pescando dal sottobosco italiano un progetto che ha già al suo attivo una decina di uscite in meno di cinque anni. Master Boot Record è la creatura di Victor Love, alias Vittorio D’Amore, musicista romano noto per le sue sperimentazioni a cavallo tra elettronica e industrial, che con questo monicker si focalizza sul lato più retrò di questo calderone musicale dai confini definiti e labili al tempo stesso. Come testimoniato dai titoli, tutti correlati al linguaggio informatico basilare, nella finzione che avvolge la realizzazione del disco Master Boot Records è in realtà una macchina senziente che compone freddamente suoni ispirati dai gloriosi anni Ottanta, che spaziano dal danzereccio alle frustate speed metal che spesso fanno capolino (“Edit.Com”, “Display. Sis”, “Ramdrive.Sys”), sempre all’insegna di un suono totalmente sintetico e freddo. Un approccio che ha come elementi distintivi le chitarre, che emergono pompose e distorte nel wall of sound complessivo, e il caratteristico suono dei synth, che assumono spesso l’aria di un clavicembalo spettrale e glaciale allo stesso tempo – a cavallo tra Moroder e krautrock – aumentando il valore personale della proposta, in una nicchia ove si tende a omologare un po’ la produzione.
A questo riguardo, nonostante la vicinanza ad artisti che potremmo ormai definire quasi ‘mainstream’ – ci riferiamo chiaramente a nomi come Perturbator o Carpenter Brut – va sottolineato come le radici industrial di Love si colgano chiaramente nella costruzione dei brani, molto quadrati e aggressivi nella loro struttura intrinseca, e tuttavia soggetti a cambi repentini di tempo e sonorità, rispetto alla ricerca di una fluida base danzereccia presente nei nomi succitati. Non manca nemmeno qui, comunque, la pura componente ludica e atta a far scuotere a dovere i vostri corpi (“FDisk.Exe”, “Emm386.Exe”), ma è evidente come tracce che presentano fino a tre movimenti diversi in pochi minuti non siano fatte solo per accattivare il pubblico; c’è nel complesso una sensazione serpeggiante di colonna sonora postmoderna, come se gli incubi di soggiogamento dell’uomo da parte delle macchine, preconizzati da decine di libri e film, si fossero avverati; e il chiptune fosse diventata l’unica, alienante forma di svago autorizzata (esemplare, per questo, una traccia come “Smartdrv.Exe”). Va detto che questo taglio originale, insieme narrativo e apocalittico, mostra anche un po’ il segno sulla distanza; il disco dura oltre un’ora, e alcuni brani risultano molto simili per costruzione e cadenza, senza la ‘facile’ ancora di salvataggio del tune incastonato a dovere per farci agitare le braccia al cielo; ma ciò non toglie che se dovessimo scommettere su chi potrebbe rappresentare il nostro paese nell’ormai consueto slot di fine festival votato a far godere il nostro lato più tamarro, Master Boot Record sarebbe il nostro candidato.