8.5
- Band: MASTER
- Durata: 00:27:39
- Disponibile dal: 01/06/1990
- Etichetta:
- Nuclear Blast
- Distributore: Audioglobe
Spotify:
Apple Music:
Affrontare il primo, omonimo disco degli statunitensi Master significa confrontarsi con un pezzo di storia dell’heavy metal, su questo non abbiamo dubbi. Un’opera spesso e volentieri sottovalutata, eppure sintesi perfetta di un’epoca – quella che va dalla metà degli anni ’80 all’inizio degli anni ’90 – assolutamente irripetibile, in cui i confini fra death, thrash e punk apparivano quanto mai labili e dove frotte di giovani musicisti cercavano soltanto un modo per sfogare la propria rabbia, avventandosi contro una società irrigidita dalle prassi e dalle convenzioni. Nati nel 1983 a Chicago, Illinois, per volere del cantante/bassista Paul Speckmann e del batterista Bill Schmidt – entrambi membri del gruppo power metal locale War Cry – i Master non ebbero inizialmente vita facile: dopo l’infruttuosa ricerca di un chitarrista, la band si sciolse e le strade dei due adolescenti imboccarono direzioni diverse, con Speckmann impegnato nei Death Strike (è di questo periodo il demo “Fuckin’ Death”, oggi considerato un vero oggetto di culto tra collezionisti e fanatici dell’underground) e Schmidt arruolato nelle fila dei thrasher Mayhem Inc.. Occorse aspettare il 1985 prima di vedere nuovamente unita la coppia, che reclutato Chris Mittleburn (chitarra) decise di riesumare il monicker Master e firmare un contratto con Combat Records per la pubblicazione del tanto agognato debut-album. Ciò che segue è una trafila di fatti noti: l’accordo saltò, il disco non venne più pubblicato (almeno fino al 2003, quando la Displeased Records lo ristampò con il titolo di “Unreleased 1985 Album”) ed il terzetto rimase inattivo per diverso tempo, salvo tornare sulle scene grazie all’interessamento della tedesca Nuclear Blast, già reduce delle ottime esperienze con Atrocity, Benediction e Pungent Stench. “Master” venne quindi distribuito sugli scaffali dei negozi nel 1990 e constò di nove brani – molti dei quali recuperati dal sopracitato full-length – per mezz’ora scarsa di musica: un concentrato a base di proto-death assolutamente incontenibile e selvaggio, che ancora oggi, a ventiquattro anni di distanza, continua ad irretire per via di una tracklist formidabile, imbevuta di passione e sano entusiasmo giovanile. Potremmo disquisire ore sull’impatto e l’efficacia di tracce come “Pay To Die” e “Funeral Bitch”, costruite su pochi, semplici riff ma dal tiro assolutamente spaventoso, o sulla performance grezza e brutale del terzetto, scandita dal growling ancora piuttosto acerbo di Speckmann, dalla doppia cassa lineare di Schmidt e dalla sei corde di Mittleburn, intenta ad omaggiare tanto primi Death e Slayer, quanto formazioni del calibro di Discharge e The Exploited. Qui dentro, così come nel successivo “On The Seventh Day God Created…Master”, troverete tutti gli elementi che hanno reso grande il nome di questa band, dalle invettive contro il sistema politico americano (basti leggere il testo di “Pledge Of Allegiance”) alla già menzionata commistione di elementi death/thrash e punk/hardcore, per un platter dalla portata storica abnorme, sebbene – come dicevamo in apertura – oscurato dalle opere dei colleghi floridiani, inglesi e svedesi. L’ABC del death metal, specie nella sua accezione più barbara e tradizionale, passa anche (e soprattutto) da questi solchi. Onore a Paul Speckmann, onore ai Master.