MASTODON – The Hunter

Pubblicato il 23/09/2011 da
voto
6.5
  • Band: MASTODON
  • Durata: 00:53:01
  • Disponibile dal: 27/09/2011
  • Etichetta:
  • Warner Bros

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Quanto sono lontani “Remission”, “Leviathan” e perfino “Blood Mountain”. E quanto sono lontane tante altre cose dei Mastodon che i loro fan di vecchia data, come il sottoscritto (che non dimenticherà mai il primo ascolto impotente di “Mother Puncher” trovato su un sampler della Relapse nel 2003) conoscono e amano dal periodo di quei tre fenomenali e funambolici album. Una volta i Mastodon andavano in tour a devastare i piccoli live club di mezzo mondo con i Converge, con i Neurosis, con gli Isis, con i Today Is The Day e con i Melvins (di cui ancora oggi “coverizzano” “The Bit” davanti alle masse rimbambite dei festivaloni estivi che i Melvins neanche sanno chi sono… Chi vuole cogliere, colga…). Chi ha visto la band dal vivo in quegli anni, come il sottoscritto, non potrà certo dimenticarne la potenza. Le voci pulite a quei tempi non erano minimamente contemplate nel loro sound, e questo paradossalmente li rendeva una band praticamente perfetta. E anche qui, chi vuole cogliere, colga. Oggi i Mastodon calcano le arene di mezzo mondo facendo da scalda-palco per gli Iron Maiden, per i Metallica e per i Machine Head. Suonano al Letterman Show, e appaiono sempre sui palchi di tutti i mega-festival europei e non solo. Chi ha visto il live DVD “Live At The Aragon” avrà anche notato tante facciuzze brufolose scapocciare in prima fila, segno inequivocabile che l’audience della band di Atlanta si è allargata enormemente, e che dunque, la loro musica negli ultimi anni si è inevitabilmente fatta più “accomodante” per così dire. Davanti a “The Hunter” non si può più sparlacchiare, fare congetture o aprire dibattiti infiniti basati sulle nuove sfumature o tendenze più o meno ovvie nel sound dei Nostri. Con “Crack The Skye” qualcuno poteva ancora dire che i vestiti nuovi dell’imperatore erano bellissimi, e tutto sommato dirlo anche senza sparare una cazzata tanto grossa visto che dei bei colpi di reni geniali quell’album li ha rifilati. Ma con “The Hunter”, l’imperatore sembra apparire proprio come mamma l’ha fatto, e i margini per negare questo puro e semplice fatto sono divenuti tremendamente esigui. La “majorizzazione” dei Mastodon è stato un processo lungo, subdolo, impercettibile e indolore. Oggi il suo compimento non lo si riesce più a nascondere e negare. “The Hunter” infatti è composto per lo più da canzoni dal feel molto commerciale e dalla durata media molto corta, intorno a tre-quattro minuti,  tutte potenzialmente spiattellabili in radio, anche nei loro momenti più aggressivi (pochi e per niente ingestibili), e assorbibili anche dalle orecchie meno attente ed esigenti. La produzione (a cura di un certo Mike Elizondo, che ha lavorato con Eminem, Jay-Z e Alanis Morisette, anche qui chi vuole cogliere, colga) tiene gli ampli una volta roventi di Hinds e Kelliher a bada, intiepidendone i toni e ammorbidendoli per non spaventare troppo possibili nuovi fan abituati a sonorità più “soft”. E ovviamente allo stesso tempo ogni residuo sludge metal e hardcore (ovvero il brodo primordiale dei Nostri, che ha raccolto intorno ai primi tre lavori una venerazione pressochè unanime), che già in “Crack The Skye” spirava gli ultimi respiri, in “The Hunter” non si rivedono affatto. Andati. Forse per sempre. Una parte vitale, fondante e iconica di questa band, con questo album, per quanto esso sia muscoloso, spavaldo e possente sotto tanti altri punti di vista, si è estinta per sempre. Amen. Stessa sorte è toccata di riflesso alla batteria dal rullante secco e jazzato di Dailor, che era da sempre uno dei marchi di fabbrica della band. Andato pure quello. Al suo posto un impianto percussivo massiccio, marziale, ovattato e digitalizzato in cui si riconosce Dailor nello stile, ma non certo nel sound. Lo stesso discorso, in verità per niente nuovo, vale per le voci, tenute a bada, imbellite, ammiccanti, soavi e chi più chi ne ha più ne metta. I maldestri vocalist Hinds e Sanders insomma sono di nuovo alle prese con melodie vocali pulite, inoffensive, e plananti, probabilmente ancora una volta non alla loro portata. Lo studio di registrazione fa miracoli, si sa, ma queste canzoni con i loro cori intrecciati, iper-melodici e soavemente ondulati, dal vivo saranno probabilmente un nuovo scoglio imbarazzante per i due rudi vocalist che tutti noi abbiamo adorato quando erano semplicemente intenti a fare ciò che sanno fare meglio, ovvero urlare come belve inferocite senza aver paura di nulla, e che di recente invece abbiamo visto in grosse difficoltà. Per la prima volta nella storia dei Mastodon, un loro album, fatta eccezione per qualche sprazzo isolato (che poi è quasi certamente il solito Scott Kelly in “Spectrelight”) è composto solo ed esclusivamente da voci pulite. Le interpretazioni su questa scelta possono pure iniziare a fioccare, ma noi personalmente la nostra preferenza l’abbiamo già espressa, ed è sempre la stessa, immutata fin dagli esordi della band. Altro amen. Anche tutto il resto ha subìto un lifting generalizzato e indiscriminato. I tempi sono più rallentati e avvolgenti, la batteria sempre meno una valanga schizzoide di percussioni come era una volta, e le chitarre in generale sono quasi sempre ammalianti, pulite, sovraprodotte, compresse, digitalizzate e annegate nell’inedito e alieno mare di tastiere che si è fatto paurosamente vivo su “Crack The Skye”. Superfluo anche menzionare un brano piuttosto che un altro, visto che – a parte le poche eccezioni rappresentate dal superbo trittico di chiusura di “Spectrelight”, “Bedazzled Fingernails” e “The Sparrow” – queste linee guida sono applicabili alla maggior parte dei momenti del disco. Semmai si potrebbero menzionare “The Hunter” e la strampalata “The Creature Lives” che, essendo due bei ballatoni (si avete letto bene) southern rock, rappresentano senz’altro un momento inedito nella storia dei nostri. Anche qui, chi vuole cogliere, colga. Poi, si sa, questi sono i Mastodon, e, quando questi quattro si mettono a suonare qualcosa, di certo non c’è posto per il catastrofismo o alcun tipo di detrazione sul piano tecnico e compositivo. Sono musicisti troppo abili e unici, e se da un lato il cambio stilistico lascia interdetti, dall’altro la loro bravura tecnica induce semplicemente ad un tacito silenzio, qualunque cosa facciano. Il punto, come si diceva in apertura,  semmai è un altro, ovvero che i primi tre album ormai sembrano solo un lontano ricordo, e che ora a tutti gli effetti invece avrete tra le mani un tuttosommato piacevolissimo album hard rock (si, la parola “metal” si fa sempre più fatica ad usarla parlando di questo nuovo lavoro), eseguito e composto in maniera impeccabile da dei professionisti assoluti. A voi la scelta se ciò vi soddisfi o no. Noi la nostra, visto che  di qualcosa anche vagamente simile a “Blood And Thunder” in “The Hunter” non ve n’è traccia alcuna, l’abbiamo già fatta. Lavoro che piacerà senz’altro a una bella fetta di mercato, ma la media comincia a scendere inesorabile.

TRACKLIST

  1. Black Tongue
  2. Curl Of The Burl
  3. Blasteroid
  4. Stargasm
  5. Octopus Has No Friends
  6. All The Heavy Lifting
  7. The Hunter
  8. Dry Bone Valley
  9. Thickening
  10. Creature Lives
  11. Spectrelight
  12. Bedazzled Fingernails
  13. The Sparrow
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