7.0
- Band: MAUD THE MOTH
- Durata: 41:30
- Disponibile dal: 25/06/2020
- Etichetta:
- Mùsica Màxica
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Amaya López-Carromero, pianista di natali madrileni e ora trapiantata ad Edimburgo, torna con il suo nome d’arte e il suo progetto più noto ad insistere sulle tonalità malinconiche e suadenti di un goth-folk che ormai si tinge di terra profondamente britannica. Quei boschi, quelle leggende, quelle brume che già gli Esben & The Witch hanno saputo coordinare in territori paralleli al metal, seguiti poi Hexvessel e dalla Wolfe; insomma, ci siamo già capiti.
Orphnē, dunque, o Ὀρφνή, ninfa oscura del panorama mitologico greco (da cui anche il termine ‘orfano’) tende le direttive verso un album – il terzo per il progetto – che probabilmente si impone come il maggior risultato in termini di produzione e, tutto sommato, anche di impatto finale. C’è sicuramente molto dietro questi panorami oscuri, rappresentati da pianoforte e voce, ma anche da una batteria jazz, viole e violoncelli e un arsenale di strumenti folk, che infittiscono ulteriormente il panorama sonoro, donando quella opportuna profondità che si richiede a prodotti come questo. Panorama che naturalmente è determinato fondamentalmente dalla suadente voce della Carromero, in cui troviamo dentro Böcklin e il suo Isle of the Dead, Le Métamorphoses di Segundo de Chomón e ci sono le reminiscenze di un Ravel che – come indicato in sede di influenze – ricoprono la maggior parte di questo “Orphnē”.
Se l’impatto è certamente minimalista, il sottobosco del disco non lo è altrettanto. Senza affondare negli eclettismi autodistruttivi e artistoidi di una Lingua Ignota, i Maud The Moth stanno sempre intorno al medesimo influsso sonoro (“The Mirror Door”, “The Stainwell”, “The Abattoir”, “Finisterrae”) ma recuperano piacevolmente anche un certo piglio più jazzoso, più frizzante e libero, come nella ottima “Mormo And The Well”, uno dei momenti migliori e più free (insieme a “Epoxy bonds”), di cui forse si sentiva un maggiore bisogno anche in precedenza. L’intenzione generale, naturalmente, è quella di dare il medesimo tono (‘tocco’, più propriamente) al tutto. Il problema è, però, che sono in tanti ad affondare denti e anima nei territori del folk depressivo ed oscuro del Nord Europa: alcuni ritornano da quell’abisso per raccontarlo, altri, forse, si perdono un po’ nel proprio viaggio oltremondano ed esistenziale. Qui siamo un po’ a metà del discorso: molto talento, buone idee, ma ancora non si riesce a trovare il fattore X per distanziarsi opportunamente da concorrenti/compagni di viaggio folklorico.