6.0
- Band: MAUL
- Durata: 00:38:37
- Disponibile dal: 04/10/2024
- Etichetta:
- 20 Buck Spin
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Il secondo album dei Maul, “In the Jaws of Bereavement”, in un certo senso rappresenta un importante passo in avanti nella carriera della band death metal del North Dakota: si tratta infatti del primo disco che i ragazzi incidono per la 20 Buck Spin, etichetta ormai diventata decisamente influente nel panorama underground.
A livello sonoro, questo nuovo full-length segue le coordinate stilistiche tracciate dai lavori precedenti, mantenendo salde quelle radici death metal e hardcore che derivano dal background misto dei membri della formazione. Bastano tuttavia pochi ascolti per rendersi conto di come la proposta musicale del quintetto si presenti ancora in una fase di consolidamento, con un impatto complessivo notevole, ma a tratti indubbiamente disomogeneo.
Come prevedibile, “In the Jaws of Bereavement” si caratterizza subito per una violenza sonora muscolare, che rimanda piuttosto chiaramente alla recente scuola di band come Gatecreeper e Fuming Mouth. Le tracce si muovono su un territorio dominato da riff densi e ritmi stentorei, ideali per generare quell’energia marziale tipica di certo death metal moderno contaminato dall’hardcore. Questo è probabilmente uno degli aspetti più riusciti del disco: l’impatto diretto, la capacità di trasmettere una furia ignorante che potrebbe funzionare particolarmente bene in un contesto live. La struttura dei brani, piuttosto semplice e immediata, segue in particolare l’esempio dei primi Gatecreeper, realtà che ha dimostrato come unire la pesantezza del death metal con arrangiamenti più snelli possa risultare vincente in contesti ibridi o prevalentemente hardcore/punk.
Tuttavia, rispetto agli sforzi dei succitati colleghi, “In the Jaws of Bereavement” soffre di una certa mancanza di coesione e visione d’insieme. L’influenza di band del calibro di Obituary e Bolt Thrower è spesso evidente, ma i Maul non sempre riescono a fondere queste ispirazioni in modo fluido. Le citazioni a volte possono apparire forzate o mal integrate con le altre componenti del suono, fra le quali troviamo persino trame particolarmente compresse e ossessive, che richiamano i primissimi lavori dei Job For A Cowboy, assieme appunto al tipico groove old school del death metal anni Novanta. In mezzo a tutto ciò, anche degli spunti più tetri e solenni, come nel midtempo “Midwest Death”. L’alternanza tra questi stili e il modo in cui vengono accostati nel corso della tracklist può insomma risultare stridente, rendendo difficile per l’ascoltatore immergersi completamente nell’atmosfera del disco o riconoscere in questo grande calderone dei pezzi subito vincenti.
Esaminando il filone in questione, gruppi come Xibalba, Kruelty e Terminal Nation negli ultimi tempi hanno alzato parecchio l’asticella, mentre i Maul sembrano ancora un passo indietro. La loro proposta appare a tratti macchinosa e vagamente ingenua, incapace di eguagliare l’efficacia e la maturità compositiva delle realtà più affermate del sottogenere. Si tratta senz’altro di musica che potrebbe guadagnare molto quando proposta in concerto, ma per il resto questo è un gruppo che deve ancora lavorare un bel po’ sulla fluidità del proprio songwriting per riuscire a emergere con maggiore forza.