5.5
- Band: MAW
- Durata: 00:41:01
- Disponibile dal: 10/01/2025
- Etichetta:
- Argonauta Records
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I Maw nascono nel 2019 a Cracovia come collettivo dalle influenze stoner piuttosto tradizionali, ed il loro promettente debutto è ancora li a testimoniarlo tra le pagine di Bandcamp; datato 2021, l’esordio omonimo racconta in quaranta minuti di come ci si possa difendere dal rigido inverno polacco ondeggiando pigramente tra blues oppiacei (“Dissolve”) e riusciti omaggi a Screaming Trees (“Awake”) e Kyuss (“Fuck Your Travel”).
A tre anni di distanza, la band alza bruscamente l’asticella delle proprie ambizioni con “The Humble Collapse”, registrato ancora negli studi Vintage Records a Poznań e distribuito dallo sguardo sempre attento di Argonauta Records. Preceduta da un breve strumentale (“TheH”), “Black Box” si offre al pubblico con un cuore pulsante di melodie grunge e divagazioni psichedeliche racchiuse in un guscio di ritmiche ansiogene rubate ai Meshuggah di “ObZen”, e funge sicuramente manifesto per un nuovo corso che si propone di inglobare all’interno della proposta iniziale elementi djent, post-metal e addirittura progressive.
La proposta è sicuramente intrigante sulla carta, ma il risultato finale manca di un elemento chiave, cioè di un’indicazione chiara della strada che il gruppo ha intrapreso o per lo meno vorrebbe intraprendere.
Nella foga di cannibalizzare influenze di varia provenienza, il quartetto infatti si dimentica spesso di assimilarle, lasciando disorientato (quando non perplesso) l’ascoltatore, come in “Never Satisfied”, dove i Tool di “Undertow” vengono filtrati dalle chitarre degli Sleep di “The Druid”, oppure in “Still”, ballata psichedelica i cui arpeggi sospesi necessiterebbero sia una melodia che una performance efficace, visto che la bella voce blues di Piotr Stachowiak è uno degli elementi che più soffrono le nuove proposte della band.
Dopo l’ascolto dell’album ci si alza dalla sedia storditi, insomma, come dopo un pranzo festivo di portate con troppe salse, e a nulla giovano i numerosi (ed interlocutori) frammenti strumentali, dove trovano posto sperimentazioni soliste a la “Ummagumma” dei Pink Floyd, tra voci effettate (“Se”), accenni industrial (“LeCo”) e chitarre lasciate libere di divagare (“Llap”, forse l’esperimento più riuscito del lotto).
Nonostante la delusione iniziale, tuttavia, gli ascolti successivi dimostrano che i Maw potrebbero avere buone potenzialità di crescita, una volta chiarite le idee, come in “Citizens Of Dunes” cavalcata in crescendo che abbraccia senza pudore i Kyuss sognanti di “Phototropic”, nella corsa a perdifiato che chiude “Nuisance Grounds”, e soprattutto in “Red Sea”, dove stoner e post-metal si fondono finalmente in un pezzo affascinante e ruvido al medesimo tempo.
Il gruppo dovrebbe partire da questi segnali positivi per (ri)modellare il proprio suono ma, per quel che ci riguarda, attualmente i Maw di “The Humble Collapse” rimangono un progetto più curioso che oggettivamente interessante.