8.5
- Band: MAYHEM
- Durata: 00:49:24
- Disponibile dal: 08/11/2019
- Etichetta:
- Century Media Records
- Distributore: Sony
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‘Non ci sarà mai un “De Mysteriis Dom Sathanas” parte seconda’. Questa è una delle certezze espresse da Teloch nelle note di presentazione del disco, e come spesso è capitato, i Mayhem sembrano guardare al loro pubblico e ridere. Sì, perché se c’è un disco che si avvicina quantomeno per attitudine al loro travolgente capolavoro d’esordio, è proprio “Daemon”. Come abbiamo già raccontato dettagliatamente nel track-by-track pubblicato qualche settimana fa, non ci troviamo certo di fronte a un plagio, ma che la band norvegese abbia ritrovato il piglio, l’attitudine e il songwriting dei tempi d’oro è fuori discussione. Sarà stato merito della riesumazione di un certo approccio con il lungo tour di riproposizione del disco d’esordio stesso, oppure il consolidarsi dei rapporti all’interno di una band che per tanti anni ha avuto diversi leader carismatici, ma mai un amalgama efficace al 100% tra le parti coinvolte; fatto sta che “Daemon” ci offre l’ascolto di quello che è non solo il naturale proseguimento, ma anche l’opportuno aggiornamento all’alba del 2019 del sound che i Mayhem hanno senza alcun dubbio scolpito sulle Tavole della (Nera) Legge. Non ritorniamo sulla descrizione delle tracce nel dettaglio, ma una sincera cattiveria è nuovamente palpabile, le derive più folli e industrial emerse negli ultimi lavori sono sedate – pur non scomparendo del tutto, coerenza che ci pare apprezzabile – e i brani scorrono potenti e compatti. Il lavoro delle chitarre ripesca sia la lezione del compianto Euronymous, sia l’inventiva di altre asce fondamentali degli anni formativi del black metal, per esempio Snorre Ruch e i suoi riff schizoidi; questo senza però mai perdere in freschezza, a dimostrazione che Teloch e Ghul non sono delle comparse posticce nell’economia dei Mayhem. Necrobutcher, che spesso in anni recenti abbiamo malignamente ma inevitabilmente visto come il portabandiera della formazione originale con scarso ruolo creativo, è sugli scudi in diversi passaggi che ammantano di oscurità il disco, e abbiamo lasciato per ultimi i due veri protagonisti dell’album. Da una parte Hellhammer, che sfrondati taluni eccessi estrosi si conferma un batterista tellurico ed esaltante, e dall’altra Attila: colui che inventò un modo di cantare gorgogliante, tragico e teatrale, in parte ostracizzato al tempo per la pesante eredità di Dead, poi criticato da molti per una verve ritenuta eccessiva, dimostra che il Male, con la sua ugola, prende forma concreta. Ritornano anche in forza atmosferici ed essenziali passaggi di tastiere, il perfetto compendio per questo grimorio messo in musica che segna davvero un ritorno eccelso e a tratti inaspettato. In un’annata in cui le uscite in ambito black metal di livello sono state numerose, non ultimo il primo full length dei prime-mover Mortem di poche settimane or sono, ci pare meritevole e doveroso premiare il riscatto in pompa magna della band che ha praticamente creato questo genere, almeno nella concezione moderna. Sperando che questo Rinascimento in nero prosegua a lungo, anche con il contributo dei Mayhem.