7.0
- Band: ME AND THAT MAN
- Durata: 00:46:56
- Disponibile dal: 24/03/2017
- Etichetta:
- Cooking Vinyl
- Distributore: Edel
Spotify:
Apple Music:
Difficile dare un voto oggettivo a questo album. Difficile perché, inevitabilmente, l’ombra lunga della solidissima carriera di Nergal coi Behemoth estende la propria influenza su questo side project così lontano dalla band madre; e con essa molte domande sulla direzione musicale e sulla portata dei Me And that Man. Intendiamoci, non siamo qui a questionare l’onestà intellettuale di un artista che merita tale epiteto senza alcun dubbio, e che potrebbe anche pubblicare un album EBM per puro divertimento senza per questo subire particolari accuse; ed è evidente come in questo “Songs Of Love And Death”, al di là del titolo altisonante, emerga un lato giocoso del musicista polacco, evidentemente voglioso di sperimentare altro – e dimostrando di avere una vena da crooner di buonissimo livello. Fugati, quindi, almeno i ‘sospetti’ sulla volontà di puro ammiccamento, possiamo soffermarci sulla dimensione musicale, mediamente impeccabile e coinvolgente, ma molto, troppo figlia dei Maestri a cui Nergal guarda senza mistero. C’è una consistente base di Johnny Cash, e a riguardo si sentano “Nightride”, sorta di rilettura della rilettura di “Personal Jesus” fatta da Cash stesso, oppure “On The Road”; poi molto sound Americana, tanto storico (Da Van Zandt a Kris Kristofferson) quanto recente – con l’esempio più bello affidato a “Voodoo Queen”, brano dalle parti degli Handsome Family con la chitarra circolare e il cantato cupo e avvolgente, con tanto di coro sul ritornello. E il resto è poi puro e assoluto Nick Cave: Nergal non ha fatto mistero, nelle recenti interviste, della sua passione per il cantautore australiano, e se l’opener “My Church Is Black” pare una b-side di “Henry’s Dream”, brani come “Better The Devil I Know” o “Of Sirens, Vampires And Lovers” spostano giusto di pochi anni in avanti il riferimento, ma seguono il percorso di Cave amorevolmente. E insieme pedissequamente: dall’intonazione baritonale, alla cura delle occasionali scariche elettriche, fino alla concezione di un blues fatto di ballate sporche e di testi che ammiccano a una laica spiritualità con classe. Insomma, il voto poteva essere molto superiore, ma bisogna essere stati in una bolla spazio-temporale dal 1983 e non aver mai ascoltato una singola nota del Re Inchiostro, per passare ai brividi commossi; così, ci limitiamo ad augurare un buon futuro a questo progetto (in realtà un duo con la partecipazione dell’amico John Porter) e a una dignitosissima promozione… con giusto qualcosa in più.