MEKONG DELTA – Tales Of A Future Past

Pubblicato il 26/05/2020 da
voto
8.0
  • Band: MEKONG DELTA
  • Durata: 00:55:37
  • Disponibile dal: 08/05/2020
  • Etichetta:
  • Butler Records

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La parabola dei Mekong Delta è quella di un costrutto intellettuale, ancor prima che sonoro, patrimonio essenzialmente di un uomo, Ralph Hubert, musicista eccezionale che ha plasmato questo progetto per dare un’interpretazione metallica alle sinfonie della musica classica. Fautori di un progressive thrash mirabolante nella sua prima fase di vita, quella del lustro 1985-90, con capolavori come “The Principle Of Doubt” e “Dances Of Death (And Other Walking Shadows)”, nelle pubblicazioni novantiane i teutonici si erano in parte affrancati dagli stilemi di partenza, consegnandosi ancor più apertamente a una rielaborazione dei dogmi della musica classica, consacrata nella rivisitazione completa di “Pictures At An Exhibition” di Modest Mussorgsky del 1997. Era seguito un silenzio di dieci anni, interrotto dal valido “Lurking Fear”, riecheggiante le spigolosità dei primi lavori. Un tentativo di ripresa andato a buon fine, seppur segnato da una rapida rivoluzione in line-up, un’abitudine per l’inquieto Hubert, arrivato di lì a poco a mettere in piedi una formazione che si rivelerà essere stabile e duratura. Infatti, dopo aver lavorato su “Wanderer On The Edge Of Time” del 2010, è rimasta a lungo intatta, fino all’appena sfornato “Tales Of A Future Past”, che vede un cambio alla chitarra, con il rientro di Peter Sjöberg (suonò su “Lurking Fear”) al posto di Erik Grösch. Dieci anni di apprezzabile continuità, segnati da ottimi dischi e quest’ultimo che, fosse firmato da qualche formazione più giovane e ‘calda’ sul fronte della spinta promozionale, potrebbe pure guadagnarsi una discreta visibilità.
Ma stiamo parlando dei Mekong Delta, che pubblicano il loro dodicesimo full-length quasi di soppiatto, forti soltanto di una musica rinfrescata e aggiornata secondo canoni di ascolto più attuali dalla scintillante maestria di Hubert e la sua fidata squadra di fuoriclasse, praticamente ignoti nel circuito metal contemporaneo. La struttura dell’opera, famigliare per i fan della band, prevede strumentali variopinte e dal flavour sinfonico a inframmezzare le tracce cantante, dando vita a una tumultuosità eccentrica e non sforzata di umori che solo i Mekong Delta sanno esprimere. Le peculiarità degli album dal 2010 in avanti sono tutte ben presenti e rispondono in estrema sintesi a una fusione dell’esagitazione funambolica dei primi album, al raffinamento e smussamento verso il progressive iniziato con “Kaleidoscope”, al massiccio incalzare delle armonie e melodie classiche nel corpo centrale delle composizioni più intricate e, infine, a un incameramento, probabilmente inconscio, di taluni archetipi del miglior prog metal contemporaneo. Ne esce un lotto di canzoni spettacolare, che non solo porta addosso le stimmate del suono atemporale e unico tipicamente Mekong Delta, ma annette a sé quel colto cerebralismo e lo slancio verso dimensioni ancora in parte inesplorate che ci si attenderebbe da una new sensation, non da dei veterani.
Il singolo “A Colony Of Liar Men” non avrebbe nulla per non far impazzire sia i seguaci del thrash colto, che quelli di band come Pain Of Salvation o affini: un guizzare di riff sferzanti e camaleontici, armonie cristalline, il frullare di linee di basso e batteria in rapido avanzamento, costantemente portate verso tempi dispari. Il sentimento, il pathos, l’innalzarsi a pinnacoli di teatralità febbrile ce le mette la duttile voce di LeMar, coniugante l’animosità dello screamer, l’attitudine all’astrazione dei singer prog degli anni ’10 e un confortante piglio da storyteller. Quello esce a maggior ragione nelle toccanti parentesi acustiche (“A Farewell To Eternity”), delicata arma di coercizione in dotazione ai Mekong Delta e che per loro si tende a sottovalutare. L’irregolare dinamismo ritmico e le scorrerie chitarristiche lambiscono l’energia schizzata degli album anni ’80 (valga a esempio la pressante “Mindeater”), innalzata nella complessità ritmica dal drumming ‘a elicottero’ di Alex Landenburg. Uno degli elementi moderni che impreziosiscono la tracklist e ne fanno percepire la sua dimensione attuale.
Di attacchi e mesmerizzazioni vive “Tales Of A Future Past”, che splende persino di chorus nemmeno inaccessibili e nello scatenare cori, assoli mirabolanti, controtempi da mal di testa non perde mai la bussola. Si sperimenta tantissimo, sulle ritmiche, i riff, la metrica vocale, inscenando balli di strumenti al cardiopalma, dispiegati in combinazioni di note indiscutibilmente metalliche, ma che guardano al genere da una prospettiva unica. Le quattro parti di “Landscape”, inoltre, emanano una grandeur che anche gli scafati cultori della musica classica non esiterebbero a definire eccellente. Sinceramente non ci si poteva attendere di meglio da Hubert e compagni, l’arte dei Mekong Delta resiste allo scorrere del tempo e anzi, dai cambiamenti e dalle evoluzioni intercorse sa trarre insegnamenti utili per svilupparsi e migliorarsi. Immortali.

 

TRACKLIST

  1. Landscape 1 - Into the Void
  2. Mental Entropy
  3. A Colony of Liar Men
  4. Landscape 2 - Waste Land
  5. Mindeater
  6. The Hollow Men
  7. Landscape 3 - Inharent
  8. When All Hope Is Gone
  9. A Farewell to Eternity
  10. Landscape 4 - Pleasant Ground
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