7.0
- Band: MELECHESH
- Durata: 01:02:20
- Disponibile dal: 27/02/2015
- Etichetta:
- Nuclear Blast
- Distributore: Warner Bros
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Ben quattro anni e mezzo sono passati ormai dall’uscita di “The Epigenesis”, primo vagito su Nuclear Blast di Ashmedi e dei suoi Melechesh, formazione che, nonostante una buona gavetta e tutto sommato una discreta dose di originalità e audacia stilistica, fatica ancora a venire prepotentemente alla luce in tutta la sua magniloquenza. Certo, lasciar passare un lustro tra una release e l’altra, oltre ai consueti stravolgimenti di line-up decisi e voluti dal padre-padrone dell’entità mesopotamica, non aiuta i Melechesh a stare sempre in rampa di lancio, ma a conti fatti è pur vero che anche questo nuovo lavoro, intitolato “Enki” (nella mitologia sumera trattasi di una divinità buona, protettrice della città sacra di Eridu e associabile al babilonese Ea), non riesce a soddisfare appieno il fruitore, lasciando quel solito pochetto d’amaro in bocca che non permette l’esaltazione completa di fronte alla musica del combo israelo-olandese – anzi, oggi israelo-germanico, dato che il quartier generale di Ashmedi si è mosso in terra teutonica. Gran prosopopea e la consueta pomposità, con tutte le cose al suo posto e messe ben in evidenza, presentano “Enki” nel migliore dei modi: una bella cover, sempre sui toni del giallo desertico; l’utilizzo assolutamente incuriosente di chitarre elettriche e acustiche a 12 corde, accordate in modo da far vivere un’esperienza sonica completa all’ascoltatore (parole di Ashmedi, non nostre); un trittico di ospiti di certo valore, quale quello composto da Rob Caggiano, ex-Anthrax e oggi nei Volbeat, Max Cavalera (dobbiamo dirvi chi è?) e Sakis Tolis, anima e sangue dei Rotting Christ; una produzione feroce e bombastica, con delle chitarre assassine e una violenza di fondo lancinante. Insomma, aggiunto il dettaglio che il disco è stato registrato tra Grecia e Svezia da quella che è in pratica quasi la formazione originale dei Melechesh, con Moloch alla chitarra numero due, Lord Curse alla batteria e il ‘nuovo’ Scorpios al basso…ecco, aggiunto questo dettaglio, arriviamo finalmente a scrivere qualcosa sulla tracklist di “Enki”. Tolta dal computo la strumentale tutta-percussioni-e-atmosfere “Doorways To Irkala”, buona e pacifica pausa di otto minuti tra il caos apocalittico, le restanti tracce sono decisamente guitar-oriented e si dividono in modo piuttosto equo tra gli ormai classici riffoni su scale mediorientali che caratterizzano la band e assalti thrash-black metal al fulmicotone; per poi magari rallentare le andature, ad esempio nella lunga e conclusiva “The Outsiders” oppure nella potente “Enki – Divine Nature Awoken”, lasciando spazio a partiture epiche e ridondanti, poderose e solenni. Sono però i brani più brevi, diretti e marziali che ci colpiscono di più in positivo: “The Pendulum Speaks”, “The Palm, The Eye And Lapis Lazuli” e soprattutto “Multiple Truths” si concedono una marcia in più in quanto a coinvolgimento e presa. Anche “Lost Tribes”, la traccia in cui partecipa il buon Max Cavalera, fa ottima figura grazie al suo incedere thrashy proprio memore del tipico songwriting del chitarrista brasileiro. L’uso delle voci – a proposito, Cavalera e Sakis vengono sfruttati piuttosto maluccio dai Melechesh – è piacevole e abbastanza vario, ma lo screaming di Ashmedi permane un po’ troppo acido e sgraziato per la musica proposta, forse bisognosa di un timbro estremo un po’ più gutturale e lugubre. Alcuni riff, lo ammettiamo, sono geniali e vigorosamente coinvolgenti, soprattutto quando abbinati a dinamiche varie e trascinanti, che a tratti trasportano chi ascolta al cospetto di inumani sacrifici all’ombra delle mura di Ninive. Insomma, ancora una volta i Melechesh non deludono e per certi versi tirano fuori un mezzo discone, ma neanche “Enki” ci fa gridare infine al capolavoro, facendoci restare ancorati ad un sette pieno e soddisfatto, ma non di più.