9.0
- Band: MELVINS
- Durata: 00:54:50
- Disponibile dal: 21/09/1993
- Etichetta:
- Atlantic Records
- Distributore: Atlantic Records
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Il riff che domina tutto. Un album praticamente costruito attorno alla potenza del riff. Di tanti riff enormi e memorabili. Può essere sintetizzata così l’essenza di “Houdini” dei Mevins, lavoro che, in scia all’amicizia che legava la band a Kurt Cobain, ha catapultato (o tentato di catapultare) Buzz Osbourne e Dale Crover prima tra le braccia di una major ottusa e incompetente che non li ha mai capiti, nè tanto meno li ha mai cercati di capire, e successivamente in un mainstream sordo e completamente inadeguato alla personalità assolutamente sopra le righe e incontrollabile del duo. Tanto è che, per anni bollati come ‘inascoltabili’, i Melvins oggi sono ancora qui, autentiche leggende di un underground che loro stessi hanno filiato. Label sono nate, sono morte, così come i manager, i generi, le mode e quant’altro. Sono stati fatti contratti, contrattini e deal di ogni genere sulle spalle di questa band, ma l’unica e innegabile realtà è che cinquanta dischi e trent’anni dopo tante entità sono nate e morte attorno a loro ma i Melvins sono ancora qua, inscalfibili e inossidabili, e ormai persino osannati, riveriti, rispettati come degli Dei veri. E “Houdini”, loro lavoro più abbordabile e ‘umano’ all’interno di una discografia incredibilie e sterminata che in trent’anni ha esplorato un territorio sonoro infinito in lungo e in largo, toccando il punk, il crust, il noise rock, il drone, lo sludge, il doom, lo stoner rock e la sperimentazione pura, è il lavoro che abbiamo scelto per ricordare ai fan uno dei platter più compiuti nella discografia della band e per introdurre i novellini allo storico duo tramite il loro disco forse più diretto, versatile e di più semplice assimilazione. Dopo aver di fatto inventato lo sludge metal con “Ozma” e aver re-inventato il doom metal con “Bullhead”, con “Houdini” i Melvins sono infine riusciti a sintetizzare il loro vastissimo armamentario sonoro aggregandolo tutto in un solo luogo e in un solo album. “Houdini” è un lavoro costituito, infatti, da tantissimi mood diversi, ma tremendamente coeso e lineare allo stesso tempo. Il loro ibrido di Black Sabbath, Black Flag e Frank Zappa qui dentro trova pieno compimento e incorona la band come entità responsabile di aver traghettato il doom metal nel futuro. Il nodo centrale del disco rimane comunque uno solo, ovvero il riffing assolutamente mostruoso e pachidermico di King Buzzo, ormai, a vent’anni da questo lavoro, considerato da tutti il Re (persino nell’appellativo) indiscusso di una pesantezza chitarristica prima d’allora mai neanche lontanamente immaginata. Greg Ginn e Tony Iommi vengono convogliati nel riffing del Re dello sludge in maniera inesorabile e delirante. Prima amalgamati insieme e infine quintuplucati per pesantezza e intensità, e straziati da un eclettismo esecutivo che non aveva mai avuto simile espressione in precedenza. Il risultato è un muro di chitarre gigantesco e inimitabile che ha fatto, e tutt’ora fa, scuola, e che, lungi dall’essere statico e immobile, è permeato invece di un dinamismo incredibile che ha fatto breccia in maniera inesorabile nell’immaginario delle band arrivate successivamente e maggiormente promotrici di un riffing impattante ma ricercato. Vedasi come manifestaizoni più lampanti di suddetta estetica, per esempio, il lavoro svolto successivamente da band come Tool, Mastodon, Neurosis, Boris (che addirittura hanno preso il loro nome da una canzone dei Melvins) e Isis, tutte formazioni che hanno esplicitamente citato i Melvins come esempio imprescindibile ed inesauribile fonte di ispirazione. Ne sono degli esempi indiscutibili “Joan Of Arc”, “Night Goat” e “Hag Me”, autentiche tracce precorritrici del post-metal, come anche “Honey Bucket”, la geniale “Hooch” e “Copache”, autentici carri armati sonori che, trascinati da dei riff assolutamente monumentali, hanno tirato lo sludge fuori dalle fogne per metterlo su un trono di sensibilità musicale dorato e inattaccabile. E in mezzo un mare di allusioni, di riferimenti e di ricerca musicale pressoché totale, in grado prima di evocare nefasti scenari punk (“Teet”, “Lizzy”), poi di richiamare da lontano la parola ‘grunge’ (“Set Me Straight”) e infine ancora di porre addirittura le deliranti basi per ciò che sarebbero stati dieci anni dopo i Fantomas (“Sky Pup”, “Pearl Bomb” e la sfiguratissima e insensata closer “Spread Eagle Beagle”). Altri elementi dominanti dell’estetica artistica dei Melvins erano e sono tuttora l’ecclettismo e il bizzarissimo senso dell’umorismo che domina ogni nota prodotta dalla band e che pervade le liriche, perennmente perse in una ‘paraculaggine patologica’. Il maggior segnale di questa sinistra e oscura natura giocherellona dei Nostri è senza ombra di dubbio veicolata dall’inconfondibile voce di Buzzo, altro tratto stilistico che ha fatto scuola, anche se Buzzo mai si sarebbe immaginato che le sua urla psicotiche e sguaiate sarebbero potute servire da fonte di ispirazione alle generazioni successive. A questo va aggiunto il drumming sconnesso, eclettico e terremotante di Crover, ormai assunto a maestro nel campo, a chiudere il cerchio su un’estetica sonora unica, inconfondibile ed inimitabile, che trova in “Houdini” uno dei suoi picchi di massimo splendore.