MELVINS – Stag

Pubblicato il 01/02/2025 da
voto
8.5
  • Band: MELVINS
  • Durata: 00:53:18
  • Disponibile dal: 12/07/1996
  • Etichetta:
  • Atlantic Records

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All’interno di un mercato discografico che trova nelle ristampe un terreno fertile per rigenerarsi e sopravvivere, è possibile recuperare cofanetti dal contenuto insolito (almeno per le case di produzione coinvolte): è capitato con le L7, di cui la Cherry Red ha ristampato l’intero catalogo Slash in “Wargasm” (che segnaliamo anche per la delicatissima copertina), e più di recente con i Melvins, che hanno visto la loro avventura su Atlantic raccontata in un box set (“At The Stake, Atlantic Records 1993-1996”). I tre CD raccolgono infatti tutta la musica con cui King Buzzo, Dale Crover e bassisti vari onorarono il contratto con l’etichetta in questione, tre album e qualche frattaglia dal buon sapore (su tutte la cover di “Interstellar Overdrive”, poi recuperata nell’antologia “Electroretard”).
Ancora oggi, il fatto che una major si interessasse a questa band risulta difficile da spiegare, se non con un cortocircuito del sistema. Il bug in questione, come sappiamo tutti, si chiamava Kurt Cobain, che in onore del karma decise di sdebitarsi con i musicisti che l’avevano sostenuto sin dagli inizi (“Bleach” ha il contributo attivo di Dale Crover dietro la batteria) cercando, in modo un po’ utopistico, di portare i Melvins alle masse. La storia è piuttosto nota: il leader dei Nirvana prova a produrre “Houdini” senza averne le capacità, viene licenziato, e l’album (stupendo, in ogni caso) sembra registrato dopo che un batterista ha preso controllo del mixer.
Durante le registrazioni di “Stoner Witch” (1994), alla Atlantic probabilmente si chiedono basiti come quell’inquietante cespuglio di capelli con la chitarra si sia intrufolato nel loro studio di registrazione, e non riescono ad intuire quanto una produzione accorta avrebbe reso vendibili (ma forse snaturato) pezzi come “Queen”, “Shevil” e soprattutto “Revolve”, il pezzo più commerciale mai scritto dai tre fino a quel momento.
“Stag” esce due anni dopo, con la band ancora coadiuvata in studio da GGArth (figlio d’arte, che lavorerà anche con Devin Townsend e Rage Against The Machine), e rappresenta un punto di non ritorno per la loro carriera. Se la discografia dei Melvins risulta, fino a quel momento, estremamente coerente per suono, scrittura e anche per quel delizioso senso di oppressione che causano le canzoni di “Ozma” e “Lysol”, nei cinquanta minuti di “Stag” si affollano tutte quelle idee, quelle intuizioni che saranno alla base del loro percorso futuro e che culmineranno nella (un po’ prolissa) trilogia creativa “Crybaby”/”The Maggot”/”The Bootlicker”.
Prima di iniziare, tuttavia, la band dimostra quanto la pratica sappia rendere davvero perfetti, perché l’opener “The Bit” è uno dei pezzi più importanti dell’intera epopea grunge, un incedere di chitarre ipnotico che abbraccia una melodia sinuosa, Buzz impegnato nella prova vocale più convincente della sua storia, che culmina dentro un “I’m Alive” ruggito nel magnifico ritornello. Si dondola la testa, intontiti da tanta bellezza, e non ci si accorge di avere di fronte un album che fa del plot twist la sua ragione di essere: “Bar-X-The Rocking M” è un hard rock trascinante dove convivono scratch (in una sorta di parodia nu metal) e fiati (con tanto di assolo di trombone), “The Bloat” ha una lunga intro stoner/psichedelica prima ritrarsi nelle tenebre di un asfissiante sludge metal dominato da voce e basso, “Tipping The Lion” avrebbe potuto figurare tra le hit mancate di “Houdini”, mentre “Black Bock” è un insolito numero indie-pop che culmina in un (riuscitissimo) refrain shoegaze. Proprio nel momento in cui ci sentiamo autorizzati ad abbassare la guardia, “Goggles” e “Lacrimosa” riportano bruscamente l’ascoltatore a “Gluey Porch Treatments”, spingendogli la faccia dentro una fanghiglia doom distorta e soffocante, dal passo pachidermico, quasi insopportabile negli oltre dieci minuti di durata totali, una rabbia repressa che persino “Buck Owens”, posta ad intermezzo, fatica a far fluire, nonostante il tono groove metal ed il gran lavoro di Dale Crover alla batteria.
Il segreto di questo disco sta dunque nel contenere grandi pezzi (messi parzialmente in ombra dalla perfezione di “The Bit”) perturbati da un sorriso smorfioso, che li rende forse più difficili da comprendere, e allo stesso tempo più affascinanti, come “Skin Horse”, con la sua melodia alternative rock soffocata da distorsioni (e dal tono infantile nella seconda parte), oppure il southern rock di “Berthas” e l’hard blues perfetto di “Captain Pungent”, due brani che vorresti veder durare quanto “Goggles” e che invece insieme superano appena i tre minuti.
“Stag” è questo, un caleidoscopio di idee (molte delle quali, come abbiamo detto, verranno riciclate ed espanse dagli stessi Melvins negli anni a venire, sotto l’egida di Mike Patton), un’istantanea su quel cantiere indecifrabile che è la mente di King Buzzo, dove centinaia di musicisti operai cazzeggiano, incuranti degli ascoltatori dietro le reti che, come tanti umarell, protestano che una canzone, una bella canzone, non può mica finire così.

TRACKLIST

  1. The Bit
  2. Hide
  3. Bar-X-The Rocking M
  4. Yacobs Lab
  5. The Bloat
  6. Tipping The Lion
  7. Black Bock
  8. Goggles
  9. Soup
  10. Buck Owens
  11. Sterilized
  12. Lacrimosa
  13. Skin Horse
  14. Captain Pungent
  15. Berthas
  16. Cottonmouth
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