6.5
- Band: MEMBRANCE
- Durata: 00:36:58
- Disponibile dal: 23/06/2023
- Etichetta:
- Extreme Metal Music
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I Membrance fanno di tutto per non essere il solito gruppo death metal, è evidente. Ormai attivi da più di una decade, con il loro terzo “Undead Island” i veneti confermano i loro sforzi per costruire un’identità propria nel panorama nostrano attraverso il concept chiaramente territoriale, alcuni testi in dialetto veneziano, una copertina surrealista degna di nota e più in generale l’intento di scrivere death metal sì aggressivo ma allo stesso tempo curato nei dettagli.
“Undead Island” si presenta esattamente così nell’intro “Zombie Massacre”, con il suo nemmeno tanto suggerito paragone tra l’isola degli zombie di Fulci e la decadente area della laguna veneziana. Il primo brano, “Spirar Nei Caigo”, mette in chiaro come le coordinate stilistiche dei nostri siano Dismember, Kataklysm, Cannibal Corpse, Hypocrisy, Sepultura, Vomitory e un po’ tutti i più celebri giganti del death metal, ma che l’interesse del quartetto si concentri anche nella creazione di un groove continuo, proposto dalle chitarre di Gregorio Di Angilla e Giacomo Rusconi.
Spieghiamoci meglio: in un brano come “Spetro Malcontenta” i Dismember di “Death Metal” sono un bel punto di riferimento, ma ascolto dopo ascolto emergono tanti piccoli dettagli che aggiungono valore alla proposta: gli assoli melodici, i midtempo perfetti per far scapocciare il pubblico nelle esibizioni dal vivo e soprattutto la continua ricerca di soluzioni in grado di coinvolgere l’ascoltatore. Non è un invalicabile muro di suono l’interesse primario dei Membrance: “Riva De Biasio” e “Sepolto In Velma” sottolineano ancora come una scrittura curata sia primaria negli intenti del gruppo.
Certo, gli omaggi ai grandi del genere ad un orecchio attento si sentono tutti, come il riff decisamente Sepultura di “Sepolto In Velma” o la volontà di avvicinarsi ad un certo death/black in “Marubio”, ma avendo anche visto l’attitudine dal vivo non riusciamo ad immaginarci i Membrance come inconsapevoli di questo e anzi, pensiamo che i riferimenti siano volute basi su cui costruire poi un proprio suono.
Non convincono del tutto invece, a parere nostro, alcune scelte legate ai suoni e al mix, che vede la voce non eccessivamente in evidenza rispetto alle strabordanti chitarre e ad un suono di batteria troppo sintetico e roboante. Nel complesso ci sono quindi due anime, in “Undead Island”, una tradizionalista e una più avventurosa, legata all’inserimento di riff di chitarra molto groovy, spesso fuori dai canoni del ‘solito’ death metal che risultano godibili e freschi e invogliano a riascoltare più volte i dieci pezzi di questo nuovo album. Consigliamo ai veneti di proseguire in questa direzione, perché potrebbe regalar loro soddisfazioni.